09 Novembre 2024, 10:11
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Zucchero Fornaciari, per il suo pubblico solo Zucchero, esce con un nuovo album dal titolo “Discover II”, seconda raccolta di cover e riscritture in italiano di pezzi di altri grandissimi, a tre anni dal primo capitolo. Quasi 70 anni e un’energia invidiabile che ancora oggi lo porta su e giù dai palchi in giro per il mondo. In un’intervista a “Vanity Fair” racconta: “Ho trovato la mia dimensione. Incontro manager e discografici quando sono qui a Milano, magari alle conferenze. Per il resto, da anni sono tornato a vivere in campagna e giro il mondo con le canzoni. Ma la metropoli sì, all’inizio l’ho sofferta”. “Da ragazzo prendevo il treno da Forte dei Marmi, dove i miei non avevano trovato grande fortuna, per salire su a Milano, e cercarla io, la fortuna”. “Il cantante non era nelle mie ambizioni – svela – pensavo che fare l’autore sarebbe stato più alla mia portata. All’epoca ce n’erano di grandissime, bussavo porta a porta. Avevo una zia da cui mi appoggiavo e ricordo le lunghe attese, i viali, i parchi in cui passavo il tempo tra un’audizione e un’altra”. Poi ammette: “Non mi volevano, palesemente. Non ero dei loro. Mi dicevano che scrivevo cose carine, ma che servivano aggiustamenti. Che ne so, il ritornello. ‘Sistema il ritornello in questo modo’. Tornavo a casa e lo rifacevo, tornavo e… era meglio prima. C’era sempre qualcosa che non andava”.
L’artista si schernisce e ricorda gli esordi: “Magari non ero abbastanza bravo. Nel frattempo, in Toscana, suonavo dovunque, e dal sax con i gruppi dell’epoca passai a fare il cantante. Fu un caso: la nostra voce ebbe uno screzio, credo, con la morosa, non poteva presenziare la serata e pur di non perdere l’incasso diedero il microfono a me. Una situazione da Blues brothers. Andò bene”. Zucchero ricorda la sua lunga gavetta, un percorso che i giovani d’oggi quasi sconoscono. “Ah se ne ho fatta. Però serve, eh – sottolinea -. Oggi leggo di artisti giovani che hanno crolli emotivi: credo sia normale, quando non si fa gavetta non si hanno le spalle larghe per sopportare ciò che questo mestiere comporta. Io ero in una situazione disperata, perché a 23 anni decisi di sposarmi e d’investire i risparmi che non avevo per andare a vivere in una casa davvero modesta che, avrei capito poi, non voleva nessuno. Lì divenne tutto in salita, chiaramente c’erano più responsabilità. Sono stato un pazzo”.
Poi ammette: “E’ più difficile venire fuori oggi, perlomeno sulla lunga distanza. Perché adesso, pensi ai talent, gli artisti li bruciano subito. Ai nostri tempi c’era la possibilità di fare più dischi, le case discografiche investivano sui progetti, davano tempo. Gli stessi Dalla e De Gregori, tra i tanti, con le tempistiche di ora non li avremmo mica avuti”.
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La svolta della sua carriera arriva quasi per caso. “Fu merito di un giovane discografico – ricorda Zucchero – che decise di darmi un’ultima chance. Nel 1984 ero a un punto morto: avevo partecipato due volte a Sanremo e in entrambi i casi era andata male. In più avevo già una figlia ed ero senza un soldo. Morale? Ero un uomo finito. Non mi lasciavano fare come dicevo io. Quando la Polydor mi scritturò per quel disco disse due cose: non fare blues, perché in Italia non funziona; e non cantare con quella tua voce, perché è sporca e non va bene. Così mi ‘ripulirono’ in tutti i modi: diventai uno dei tanti, solo che non ero io”. “Ricordo quel pomeriggio in cui sembrava tutto finito: quel discografico, che ancora ringrazio, m’incontrò nei corridoi dell’etichetta che ero nero, io che di base ero sempre solare; vide qualcosa che gli altri non avevano visto, dopo poco tornò con un assegno. Mi disse: ‘Ora fai un disco come cazzo ti pare, ma è la tua ultima occasione’. Lì nacque Zucchero & The Randy Jackson Band”. Si tratta del disco dove è contenuto il brano “Donne”, uno dei più popolari dell’artista che oggi si vergogna di cantare. “Per il ‘du du du’ – scherza -. Però fu una benedizione: a Sanremo andò di nuovo male, ma poi a poco a poco prese il volo nelle radio”.
“Fu il primo album con musicisti internazionali, che potevano garantirmi davvero un’impronta blues. E con il successo di ‘Donne’ l’etichetta cominciò a darmi ascolto – aggiunge – a non pensare che fossi pazzo. Ho capito che ci vuole tenacia. Da lì nacquero ‘Rispetto’, ‘Blue’s’ e gli altri dischi del successo, in cui ero me stesso, con la mia voce sporca”.
Zucchero, con la sua musica, ha sempre avuto successo in Paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti. “L’ho capito con il tempo, cosa funziona – spiega -. Canto in italiano, e non è poco: la nostra lingua piace, è melodica, è uno dei tanti motivi per cui la lirica va così bene nel mondo. In più, io ci metto un suono che invece è il loro, che dialoga con le loro radici. Musicalmente, parliamo la stessa lingua, ma mi trovano anche esotico”. Poi racconta l’incontro con un musicista che cambiò la sua carriera: “Nel 1989 mi fecero sapere che Eric Clapton era interessato alla mia musica e lì per lì rimasi perplesso. Non ci credevo neanche; dopo un concerto ad Agrigento, invece, mi fanno sapere che c’è un signore, tale ‘Clapton’, che vuole parlare con me. Prego? Lo faccio entrare. Era davvero lui, con Lory Del Santo, che all’epoca era la sua compagna e l’aveva convinto a venirmi a sentire dal vivo. Era rimasto colpito e per il 1990 mi propose di andare ad aprire i suoi concerti in giro per l’Europa. Mi buttai anche lì. Ma mi feci un nome e partì tutto”.
La scorsa estate, Zucchero ha collaborato con Salmo che definisce “un musicista”. “Stavo vedendo Sanremo con altre venti persone mentre cantava ‘Diavolo in me’ e, le giuro, non ne sapevo niente: nessuno mi aveva avvisato – racconta -. Ci siamo presi benissimo, aveva un’energia dirompente. Poi sono venuto a sapere che era un fan e ci siamo visti nel suo studio, sui Navigli. Non c’era l’idea di fare un pezzo, il remake di Overdose (d’amore) è venuto dopo. Lì per lì ci siamo trovati umanamente, oltre ad aver scoperto che anche lui ama il blues. Abbiamo gli stessi riferimenti, ha una grandissima cultura e una band, oltre che dei concerti, di tutto rispetto. Sono cose a cui bado molto. Se me lo ha imposto la Universal, per allargare il pubblico? Mai. Ma sa quante volte, in questi anni, mi hanno chiesto di duettare con il rapper e il trapper di turno? Per ‘svecchiare la mia immagine’. Per cortesia, sarei ridicolo. Questa è un’altra cosa”.
Zucchero dice la sua su come è cambiato il mercato della musica: “I dischi, parliamoci chiaro, non si vendono più. Si resiste, a livello di potere rispetto ai discografici, grazie a ciò che si è seminato. Ma tanto contano solo gli stream e quanto il cantante è social”. Lui stesso ha definito Sanremo “il Festival degli influencer”. “Sì, lo penso – sottolinea – Amadeus ha pensato più ai numeri sui social che alle canzoni”. “Carlo Conti è un amico – rivela – ci conosciamo da quando eravamo ragazzi, frequentavamo le stesse serate in Versilia. Mi piace il suo atteggiamento, è anche lui uno diretto: o sì, o no. Se mi chiama come ospite dico di sì perché mi conosce bene e sa che se devo andare è per fare qualcosa che resti. Non per il compito, magari per celebrare i quarant’anni di ‘Donne’, che ricorreranno a febbraio. Non m’interessa, come non m’interessano la nostalgia e stare su un piedistallo. Voglio fare musica finché campo, perché mi dà gioia, è la mia ragione di vita”.
L’artista ammette di sognare ancora di raggiungere nuovi obiettivi: “Ho la lista. Il più bello sarebbe invecchiare bene facendo musica, senza diventare ridicolo o, di nuovo, nostalgico. Infatti nel 2025 mi metterò a lavorare su un nuovo disco, e stavolta non sarà di cover: voglio vedere se sono ancora capace a scrivere”.
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09 Novembre 2024, 10:11