Qualche giorno fa Vittorio Sgarbi, 72 anni, ha parlato pubblicamente della depressione che sta minando il suo corpo e la sua anima. Il critico d’arte ha perso molti chili e tutto gli costa un gran fatica. La sua lucidità è intatta e la usa per descrivere la sua attuale condizione in alcune brevi dichiarazioni rilasciate a Massimiliano Parente per “Il Giornale”. “La depressione ti fa sentire come se fossi in un tunnel buio, senza via d’uscita, e la cosa peggiore è che chi ti sta intorno non capisce, confondendo la depressione con una semplice tristezza passeggera”, spiega l’ex sottosegretario alla Cultura. “La depressione è un treno fermo in un luogo ignoto”, aggiunge. Massimiliano Parente che lo conosce bene da 35 anni (Vittorio Sgarbi firmò la prefazione del suo romanzo d’esordio, ndr) si lascia andare ad alcune considerazioni evidentemente condivise dal critico d’arte che ha rilanciato l’articolo sulla sua pagina Facebook.
CLICCA E SEGUICI SU FACEBOOK

“Vittorio ha esorcizzato la depressione vivendo dieci vite in una, è sempre sembrato l’opposto”
“Vittorio è sempre stato un ciclone, non poteva fermarsi, non voleva fermarsi – afferma lo scrittore – Perfino sua sorella Elisabetta, straordinario editore (forse l’unico vero editore puro rimasto in Italia, che risponde solo a se stesso e capace di scelte coraggiose), e persona iperattiva quanto lui, ha sempre fatto fatica a stargli dietro (…) Ha esorcizzato la depressione vivendo dieci vite in una, non restando mai fermo, non lasciando la sua mente mai immobile su qualcosa. La cultura, l’arte, rendere la sua stessa vita un’opera d’arte, in ogni istante, perfino i suoi libri sono protesi di sé stesso, e diventano spettacoli teatrali con il suo corpo”. “La depressione è innominabile perché, come dice Vittorio, nessuno può capirla – continua Massimiliano Parente – (…) Nessuno può capire Vittorio, perché la depressione è una condizione esistenziale di estrema lucidità, e perché Vittorio è sempre sembrato l’opposto. Del corpo, come lui stesso ha dichiarato, non se n’è mai occupato: la sua mente ha sempre trascinato tutto (…) Sono le illusioni che ci rendono vivi, e ci tengono lontani dal vedere la realtà. Quando la vedi, nessuno può capirti, perché non riesci a vedere neppure te stesso”.

Vittorio Feltri scrive a Sgarbi: “Ne ho sofferto anch’io, non capivo chi fossi”
A manifestare vicinanza a Vittorio Sgarbi è Vittorio Feltri che rivela di aver vissuto la sua stessa condizione. “Ne ho sofferto anch’io – confessa in un’intervista a “Il Tempo” – Dunque non mi sorprende il calvario che hai passato, lo smarrimento, la confusione. Quel buco nero dove ti infili come un calzino spaiato e non vorresti uscire più. Dare consigli non si può, è da stolti solo pensarlo. Ogni depressione è una storia a sé”. Il direttore editoriale de “Il Giornale” racconta la sua personale esperienza: “Se stavo in piedi, volevo sdraiarmi in un letto. Se mi coricavo a letto, anelavo solo ad alzarmi e andarmene via. Anche quando ero lontano mi sentivo angosciato, non capivo chi fossi, in preda com’ero alla confusione più totale”.
Vittorio Feltri è stato ricoverato per una decina di giorni nella clinica di Appiano Gentile. “Mi fecero tutti gli esami del caso e mi ribaltarono come un abito sgualcito – ricorda – Dopo una sfilza di accertamenti forzati arrivò il verdetto: ‘Lei non ha niente, signor Feltri, è sano come un pesce'”. Poi la visita con uno “psichiatra bravissimo”: “La prima cosa che mi disse fu questa: ‘Lei Feltri non sarà mai un allegrone, quindi si metta il cuore in pace’. Appurato questo, mi diede qualche consiglio pratico e un paio di pastiglie che presi per 15 giorni consecutivi. Mi rimisi in piedi e non ricaddi più nel baratro”.

“Torna presto a sminuzzare l’ennesima capra da salotto”
“È la depressione il male del secolo. Sembra che nel 2050 sarà la seconda causa di disabilità del mondo – sottolinea Vittorio Feltri – L’amico Fedez è arrivato a prendere sette pasticche al giorno per rimettersi in sesto. E ha confessato di aver toccato il fondo quando si è detto che pensare alla morte gli dava più conforto che pensare a svegliarsi l’indomani. Ecco, io al suicidio non ho mai pensato. Ho troppa attitudine e abitudine a questo mondo per andarmene via. E poi che ne sarebbe dei miei gatti. Ma mi piacerebbe che il problema fosse preso sul serio. Soprattutto la depressione dei più giovani”. “Tornando invece a te, caro Sgarbi, ti stringo in un abbraccio forte – conclude – Ansioso di rivederti presto in tivù a lanciare una delle solite intemerate contro il mondo sciatto; e a sminuzzare l’ennesima capra da salotto. In fondo, se ci pensi bene, è l’ignoranza il vero male. E quella non si vince neppure con una pasticca”.