Vittorio Feltri, 81 anni compiuti lo scorso 25 giugno, si racconta in una lunga intervista a “Sette”, il settimanale del venerdì del “Corriere della Sera”. Il direttore editoriale de “Il Giornale” parla del rapporto con la morte e confessa di non temere il trapasso ma di aver paura della sofferenza che talvolta lo accompagna. Vittorio Feltri ha “incontrato” la morte più volte nel corso della sua vita. “La prima a sei anni – racconta – Il giorno in cui è morto, mio papà Angelo mi fa chiamare al suo capezzale. Vuole vedermi prima di andarsene. Io capisco subito che sta per morire. Si capisce, sai, quando uno se ne sta andando. Faccia agonica, la chiamano. Faceva fatica anche a battere le palpebre. Era malato del morbo di Addison, una cosa che oggi si cura con un paio di fiale di cortisone”.
La morte della prima moglie: “Aveva appena partorito due bambine”
Ma non è finita lì perchè “si vede che non mi bastava un lutto in giovane età”. “A ventuno anni ingravido una ragazza – svela Vittorio Feltri – Sulle scale del suo condominio, figurati la comodità. Eravamo imprudenti e ignoranti. L’aborto allora non era possibile, la legge lo vietava, e poi io sono anche contrario. Così la sposo. Nove mesi dopo corro all’ospedale dove lei ha appena partorito. Un’infermiera del nido mi viene incontro con due fagottini in braccio. Io chiedo: qual è il mio? E lei: tutte e due. Due femmine. Svengo. Un medico mi rianima con un’iniezione. Passo in un attimo dalla disperazione all’euforia. Ma poi subito alla disperazione. Mi dicono che la mia Maria Luisa è morta per le complicanze del parto: eclampsia. Oggi non si muore più così, vero?”.
Vittorio Feltri si ritrova padre di due bambine. “A quel tempo ero alquanto povero – spiega – avevo vinto un concorso dell’amministrazione provinciale di Bergamo, non il massimo per la mia indole. Così almeno mi faccio trasferire al brefotrofio e ottengo di lasciare le due bambine lì, dove le hanno curate magnificamente, e dove ho anche incontrato la mia seconda moglie, Enoe”.
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La morte di Silvio Berlusconi: “Non ho pianto anche se è l’editore che mi ha fatto ricco”
Vittorio Feltri confessa di non aver pianto quando è morto Silvio Berlusconi. “Con lui avevo un eccellente rapporto – confida – È l’editore che mi ha fatto ricco. E mai una volta che mi abbia telefonato per dirmi che cosa scrivere. Quando ereditai ‘Il Giornale’ da Montanelli passai da 113mila copie a 250mila. E raddoppiai la pubblicità. Silvio, che ai numeri ci badava, chiama i suoi e dice: date a Feltri il 7% dell’azienda, un patrimonio che comprendeva anche un palazzo di sei piani. Io ne feci valutare il valore e veniva fuori una cifra imbarazzante. Così mi venne subito voglia di andarmene per farmela liquidare. Quando l’ho fatto, me la sono portata via con la carriola. Un editore così non puoi non amarlo. Però non ricordo di aver pianto”. In compenso, il direttore editoriale de “Il Giornale” ha pianto per la sua gatta. “I gatti mi commuovono, esercitano su di me un fascino irresistibile”, ammette.
“La morte è un fatto inevitabile, ma non mi va di soffrire. Sono favorevole all’eutanasia”
Qualche tempo fa, Vittorio Feltri è stato operato ai polmoni con la chirurgia robotica dopo aver scoperto di avere un tumore. “Mi sono svegliato vivo. E ho chiesto a Melania le sigarette”, ricorda. Melania è Melania Rizzoli, medico e amica di Vittorio Feltri. “Non è che abbia paura della morte – spiega – È che mi spaventano le modalità con le quali arriva. So che la morte è un fatto naturale e inevitabile, ma non mi va di soffrire (…) Io però ho detto a Melania che deve aiutarmi a morire, quando sarà il momento. Se le donne possono dire ‘l’utero è mio’, io potrò dire che la vita è mia? Se siamo davvero padroni della nostra vita dobbiamo esserlo anche della nostra morte. Sono favorevole all’eutanasia. Quando mia madre ultranovantenne stava morendo in clinica, ho preso per il bavero un giovane medico e gli ho urlato ‘se non le fai subito un’iniezione di morfina ti ammazzo’. Gliel’ha fatta”.
Melania Rizzoli: “Appena ha compiuto 80 anni, ha perso energia”
Melania Rizzoli, accanto a Vittorio Feltri durante l’intervista, rivela che per lui più che l’intervento è stato un trauma compiere 80 anni: “Ha perso energia, è come se avesse deciso che deve comportarsi da vecchio, nonostante io gli dica che oggi conta l’età biologica, non quella anagrafica”. “Sai, per la cultura della mia generazione, ottant’anni era la fine – spiega il direttore editoriale de “Il Giornale” –. Faccio più fatica in tutto, fatica nel senso fisico, stanchezza”.
“Andare ai funerali è inutile, quando uno è morto è morto. Non andrei neanche al mio”
Vittorio Feltri non crede nella vita dopo la morte. “Non sono credente – confessa – Qualche settimana fa sono stato dal Papa che mi ha regalato un rosario, l’ho passato a mia moglie. Rispetto la Chiesa, le verso anche l’8 per mille, ma penso che con la morte finisca tutto. Non vado nemmeno ai funerali (…) Penso che sia inutile andare ai funerali, quando uno è morto è morto, che gli frega se ci vai o no? Sono cerimonie insensate e anche un po’ farsesche. Non vorrei andare neanche al mio funerale”. “Immagino talvolta di vivere sotto un’altra forma, come puro spirito, come anima – ammette – Ma poi penso che senza corpo non potrei fare niente. Insomma, temo che sia una rottura di cogl**ni peggio che qui”. La sua epigrafe, si scopre, è già pronta ed è una sola parola: “Finalmente”.