Vittorio Feltri esce in libreria con un libro dedicato alla cucina dal titolo: “Mangia come scrivi” scritto a quattro mani con il critico gastronomico Tommaso Farina. Non un libro di ricette ma una guida per scoprire i migliori ristoranti tra Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia. Un argomento che poco si addice al giornalista che in realtà ammette di mangiare pochissimo. Vittorio Feltri spiega come è nata l’idea al “Corriere della Sera”: “Io ragiono con la testa da giornalista. Mai nessuno ha scritto un libro sulla cucina del Nord: si parla solo di Puglia, Sicilia, Napoli. Ma anche qui c’è una cucina di livello da raccontare: giusto restituirle dignità. E dico di più. Con Farina scriveremo un altro libro, Le ricette facili del Nord. Sceglieremo i piatti assieme”. E i classici pizza e spaghetti al pomodoro: “Tutte schifezze. Se dovessi identificare la cucina italiana con una ricetta, sarebbero i pizzoccheri. Sono molto buoni. Da bergamasco li ho scoperti quando il Corriere mi mandò da inviato a seguire l’alluvione in Valtellina”.
Il direttore editoriale de “Il Giornale” ammette di nutrirsi appena: “Sono un inappetente. Ho sempre mangiato cose frugali che mi servissero per il sostentamento. Sa di che cosa mi nutro ogni giorno? Un uovo a mezzogiorno e uno la sera: lo metto in un bicchiere, verso il Marsala, con una forchettina giro, infine bevo. Poi un bicchiere di latte, a pranzo e a cena. Non mangio altro, né carne né pesce”.
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Vittorio Feltri e il suo libro di cucina: “Ho scoperto che tutti i centenari mangiano poco”
Il direttore editoriale de “Il Giornale” però sottolinea: “Non mi definisco vegetariano. C’è un motivo sanitario che mi impedisce di mangiare il pesce: il mare è pieno delle deiezioni degli 8 miliardi di persone che abitano questa terra. I pesci vivono lì dentro. Perciò evito di mangiarli”. Per quanto riguarda la carne invece: “Non la mangio perché mi va di ammazzare gli animali. Io li amo tutti. Anche i topi. Ne ho persino allevato uno piccolino in casa anni fa, quando lavoravo al Corriere. Finivo tardi, mia moglie mi lasciava sempre qualcosa da mangiare in sala da pranzo. Una sera alzai lo sguardo, e sulla poltrona di fronte a me trovai un topolino che mi guardava: aveva gli occhietti che sembravano capocchie di spillo, mi fece simpatia. Così sminuzzai un po’ di grana e glielo portai. Per tre mesi tutte le sere, puntuale, il topolino veniva a farmi visita. Da bambino, comunque, mangiavo quello che passava il convento, poi capii: mia nonna aveva dei coniglietti, mi piacevano molto, ma lei ogni tanto ne ammazzava uno per mangiarlo. Una cosa disgustosa”.
Ma non finisce qui. Vittorio Feltri aggiunge: “C’è un altro motivo per cui non mangio molto. Ho scoperto che tutti i centenari mangiano poco. Chi vive a lungo mangia solo una o due uova al giorno. Poi bevo un paio di caffè, qualche volta faccio l’aperitivo”. Una cosa diversa è andare al ristorante, un passatempo che il giornalista si concede volentieri: “Andare al ristorante con qualcuno è molto piacevole. È una forma conviviale che non tramonterà mai. Non importa quello che mangi. A me piace far sedere le persone a tavola. I miei appuntamenti li organizzo sempre al ristorante”.
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“Al ristorante porto Alberto Stasi, quello che è considerato l’assassino di Chiara Poggi e non lo è”
Vittorio Feltri rivela poi una circostanza inedita: “Alberto Stasi, quello che è considerato l’assassino di Chiara Poggi e non lo è, un paio di volte al mese lo porto a ‘Il Baretto’ di Milano. Lui può uscire dal carcere di giorno perché lavora come contabile in un’azienda. Quando accadde il fatto, ero il direttore di Libero, mi resi subito conto che con il delitto non c’entrava niente. Come andrà a finire? Intanto ormai questo ragazzo tra poco uscirà per fine pena. Certo gli piacerebbe che venisse riconosciuta la sua innocenza. Comunque, io ho sempre scritto di lui, anche prima delle recenti notizie. Perciò lo invito a pranzo a ‘Il Baretto’, è la mia seconda casa. È un locale pacato, che fa il riso al salto migliore che abbia mai mangiato. E qui mi preparano il mio uovo. L’aperitivo, invece, lo faccio al ‘Bar Basso’, mi piace lo spritz”.

“Con Montanelli andavamo a ‘La Tavernetta’. C’era un tavolo tutto suo”
Se deve dire quale sia il miglior ristorante d’Italia non ha dubbi: “ ‘Da Vittorio’ a Brusaporto. Conoscevo Vittorio Cerea, mangiavo da lui quando aveva il ristorante a Bergamo. Andavo la domenica sera con i figli. Poi c’è il ‘Rigolo’ era un punto di riferimento. Anche ‘el Tombon de San Marc’. Con Montanelli, invece, andavamo a ‘La Tavernetta’ di via Fatebenefratelli. C’era un tavolo tutto suo, in un angolino. Lui mangiava pochissimo, come me, due spaghettini e via. E faceva un gesto tipicamente contadino: teneva il fiasco del vino sotto il tavolo, come faceva mio nonno. Versava da bere e poi lo rimetteva sotto, era buffissimo. Stare con lui era un piacere: non si dava arie, era un vero signore”. Infine rivela che a casa sua c’è sempre cibo per eventuali ospiti: “Merito di mia moglie Enoe, fa cose egregie, per esempio i sughi per i primi. Che assaggio sempre io. Per dare il mio responso”.