16 Febbraio 2024, 12:39
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“Ero quasi morto, vedevo le anime dell’Ade”. A oltre un mese dalla grande paura, Vittorio Emanuele Parsi rilascia una lunga intervista al “Corriere della Sera” in cui racconta dettagliatamente i fatti. Lo scorso 27 dicembre, il politologo 62enne, legato da due anni alla giornalista di La7 Tiziana Panella, ha accusato un forte dolore al petto mentre parlava su un palco a Cortina.
“Ho sentito tre colpi sul diaframma, come fossi in apnea – spiega Vittorio Emanuele Parsi – Ho capito che c’era qualcosa di grave. Finita la conferenza, ho chiesto che si chiamasse un medico. È arrivata l’ambulanza, siamo andati all’ospedale ‘Codivilla’. La cosa ha preso tutta la notte, fino al mattino. La struttura decisamente non era attrezzata. Io stesso, dopo i primi esami negativi, stavo per dire: ‘vi saluto, devo partire per le vacanze’. Avevo un aereo il giorno dopo: sarei morto. Invece sono stato portato a Belluno in ambulanza, e lì ho avuto la fortuna di trovare il primario di Cardiologia, Alessandro de Leo che ha subito capito che la mia era una dissezione dell’aorta. Mi ha detto due cose, che ricorderò sempre. La prima: dobbiamo farle un’operazione salvavita. La seconda: può andare male. Ho potuto fare due telefonate. Ma figlia maggiore e Tiziana, con cui sto da due anni, cercando di rassicurarla, mentre lei cercava di rassicurare me. Mi hanno portato con l’elicottero a Treviso, dove ho trovato chirurghi di eccellenza, come Francesco Battaglia, Antonio Pantaleo e Giuseppe Minniti”.
Dopo l’operazione in extremis, Vittorio Emanuele Parsi è rimasto in coma per giorni. “Ricordo tutto il periodo in coma. Uno Stige, un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille – racconta – Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane. Cosa sentivo? Non dolore ma stanchezza fisica, una immensa spossatezza. A un certo punto mi sono chiesto se fossi morto. Ho pensato: non ce la faccio, forse basta lasciarsi andare e tutto passerà. La morte non potrà essere tanto peggio. Poi ho pensato alle mie figlie e a Tiziana. Ho visto il suo volto, volevo rivederlo. È chiaro che non volevo lasciare sole neanche le mie figlie, ma in qualche modo prima o poi i figli li lascerai. Ho parlato con mia madre e con mio padre, che non ci sono più: ‘Datemi una mano voi, non è il momento di raggiungervi’ (…) Ho visto me stesso (…) a risalire l’immenso crepaccio, con tutta la fatica del mondo. E quando poi sono arrivato in cima ho aperto gli occhi. E ho visto Tiziana che era lì con me. Ho pianto”.
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Riguardo alla sua esperienza premorte, il politologo aggiunge: “Penso fosse l’Ade. Il fiume in cui stanno le anime morte. Non ho visto nessuna luce, nessuna speranza che non fosse quella di lottare per vivere. Forse quando si muore la sensazione è quella di un abbraccio. La morte la viviamo come spaventosa, io non ne ho mai avuto grande simpatia, non nutro aspettative su quello che verrà dopo. Però la cosa che mi ha sorpreso è che non provavo paura”. Il risveglio, per sua stessa ammissione, è stato “terribile”. “Sentivo i medici che dicevano: ‘Lo estubiamo domani, lo estubiamo oggi…’ – ricorda – Avrei voluto che lo facessero subito. Ho cercato di strapparmi tutto, hanno dovuto legarmi al letto. Nelle ore finali, intubato, guardavo l’orologio, vedevo passare i quarti d’ora uno per uno. Uno strazio. Quando mi hanno tolto i tubi è stato come rinascere. Avevo una sete tremenda (…) Ora come sto? In questo momento sono a Roma, a casa, con Tiziana Panella, la mia compagna, quindi molto meglio rispetto all’ospedale. Sono molto stanco. Però se penso a quindici giorni fa: solo scendere dal letto mi chiedeva una tale forza di volontà…”.
Vittorio Emanuele Parsi parla del suo rapporto con Tiziana Panella: “Lei ha un soprannome che le ho dato, che dipende da vicende non fortunate che l’hanno riguardata. È ‘cerottino’. Ero convinto di essere io quello forte. E invece devo dire che la sua forza è emersa a darmi una grande serenità”. Dopo la grande paura, la sua vita “non sarà quella di prima”. “Ma voglio andare avanti a fare il mio mestiere – dice – scrivere, riflettere, impegnarmi in quella che chiamiamo la terza missione. Partecipare al dibattito pubblico. Non è una questione di vanità, ci sono delle battaglie in cui credo”. “Leggendo i giornali che parlavano di me in quei giorni mi sentivo molto Mark Twain, che leggeva i necrologi quando avevano pubblicato la notizia falsa della sua morte. ‘Guarda che cose belle scrivono di me, e non sono ancora morto’”.
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16 Febbraio 2024, 12:39