Chi usa spesso la consonante occlusiva “p” emette più particelle di saliva e di conseguenza potrebbe contribuire in maggiore misura alla diffusione del virus Sars-Cov-2. E’ il risultato di uno studio pubblicato sull’Irish Journal of Medical Science. A riportare la notizia è il quotidiano “La Stampa”.
La ricerca punta la lente d’ingrandimento su quattro consonanti (b-d-p-t) di frequente uso in tutte le lingue del mondo e la cui pronuncia può causare una maggiore produzione di goccioline e droplets. Gli esiti dello studio evidenziano però una piccola correlazione con il numero di riproduzione di base del virus (R0) solo per quanto riguarda la consonante “p”. Ne consegue che “le lingue che utilizzano la consonante ‘p’ con più frequenza abbiano una maggiore possibilità di trasmettere il virus”.
Il quotidiano torinese riesuma, a tal proposito, uno studio giapponese che già “aveva collegato fonetica e trasmissione del Sars-CoV-2″, in particolare quando si articolano le consonanti “p”, “t” e “k”. “Lo scienziato Shigeru Inoue, ex direttore del Centro nazionale di ricerca sulle malattie infettive – si legge – ha messo in relazione il contagio con il modo di pronunciare alcune consonanti come la “p”, la “t” e la “k” che, per esempio in giapponese, produce meno goccioline rispetto ad altre lingue. Il giapponese, infatti, prevede un’emissione di aria proporzionalmente più tenue rispetto ad altre lingue nell’articolazione delle consonanti occlusive”.