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Che fine ha fatto Terence Trent D’Arby? “Oggi mi chiamo Sananda Maitreya”

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02 Luglio 2024, 10:20

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Terence Trent D’Arby è stato un fenomeno musicale negli anni ’80. Ora si chiama Sananda Maitreya e la sua vita è profondamente diversa dagli esordi. Quando ha conosciuto il successo aveva 24 anni, un disco d’esordio che lo ha fatto conoscere e amare in tutto il mondo e la collaborazione con Bruce Springsteen. Sono anni puntellati da stelle come Prince e George Michael. All’apice del successo decide di cambiare, vita e anche il nome. Dal 1995 si chiama Sananda Maitreya, è andato via dall’America ed è sbarcato a Milano dove ha iniziato una carriera da musicista indipendente. Di quei primi anni di successi quando si chiamava ancora Terence Trent D’Arby ricorda: “Sono salito in cima alla montagna, ho guardato il panorama che si vede da lassù – racconta al “Corriere della Sera” – Sostanzialmente è tutto falso, devi fidarti solo delle cose che hanno un valore per te. Se per restare lì devi essere freddo, cattivo, devi fare contenti quelli che comandano, devi subire il loro controllo e le loro bugie”.

“Vale davvero la pena di stare lì, in cima a quella montagna? Certo c‘è un prezzo da pagare, il prezzo che tutti paghiamo per essere quelli che siamo- aggiunge – Poi, possiamo discutere: sono sceso dalla montagna o mi hanno spinto giù? Il Buddha dice: salta, e non cadrai di sotto. Prince mi diceva: nel business ti accettano solo se obbedisci, e se obbedisci non sei più tu”.

Sananda Maitreya e la moglie Francesca Francone (Foto Instagram)

“La mia hometown? Mia moglie è nata qui a Milano, i miei figli sono nati qui”

Il musicista ricorda il suo legame con Prince: “Eravamo molto amici, quello che mi ha insegnato è che c’è vita fuori dallo studio di registrazione, tante esperienze da vivere. Nei miei dischi ci sono tante canzoni perché non voglio morire con un archivio pieno di inediti, con gli eredi che litigano, come è successo a lui. La parte più divertente, per un artista, è fare il disco. Lì hai il controllo su tutto. Poi, quel controllo, lo perdi, progressivamente. È come spostarsi da un clima caldo, confortevole, al gelo polare”. “La mia formula è: non avere formule – aggiunge -.  Il business della musica tende a trasformare i purosangue in animali da soma. Vediamo però se riescono a trasformare gli animali da soma in purosangue…”.

Sananda Maitreya spiega perché ha scelto proprio Milano. “Come diceva il mio eroe, John Lennon, la vita è quel che succede quando sei impegnato a fare altre cose. La mia hometown? Mia moglie è nata qui a Milano, i miei figli sono nati qui, qui c’è cultura e bellezza”.
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Sananda Maitreya (Foto Instagram)

Terence Trent D’Arby: “Il business mi ha tolto qualcosa: soldi, tra le altre cose”

Tornando alla musica e tutto quello che gli ruota intorno, Terence Trent D’Arby dice: “Il business mi ha tolto qualcosa. Soldi, tra le altre cose, ma come mi ha detto una volta Keith Richards, un altro mio eroe, quello è il prezzo della tua educazione, agli Stones il manager Allen Klein sfilò un mare di soldi: welcome to the music business. Ho scelto di restituire alla musica qualcosa, poco, necessariamente, di tutto quello che la musica ha dato a me. Dare un contributo, grande, piccolo, secondo le proprie possibilità, alla forma d’arte che hai scelto, quello mi preme. La musica mi ha aiutato a capire la vita. Mozart, Beethoven, Bach, i Beatles, Miles Davis, Prince, e poi tanti altri, Todd Rundgren, Big Star… la musica, insomma. Tutta. La vita su questo pianeta è stata resa possibile dall’arte. La prima volta che ho ascoltato i Beatles ero piccolissimo, la mia vita è rimasta segnata. La musica è un linguaggio che comprendiamo in modo innato, è la mitologia del nostro tempo, Disney e gli altri hanno guadagnato una fortuna adattando quei miti, quelle storie, quelle idee, al nostro tempo”.

Sananda Maitreya (Foto Instagram)

“Per me il divino è femminile. Credo nella magia, mia moglie e i miei figli”

“Prima di diventare padre non conoscevo la paura – confessa l’artista – ho capito cosa fosse solo quando ho provato la paura di perdere ciò che significa tutto per me”. Sananda Maitreya spiega la sua concezione del potere partendo da un ricordo: “A Londra, tanti anni fa, ma proprio tanti, avevo un’amica che faceva la dominatrix. Una ragazza bellissima, che aveva clienti tanto importanti che, mi diceva, ‘se facessi i loro nomi scomparirei nel nulla, mi farebbero sparire entro un’ora’. Eppure quegli uomini potentissimi sentivano il bisogno di essere dominati, in un ambiente controllato. Gli serviva quella finzione: credere di non avere potere, che quella ragazza avesse un potere assoluto su di loro. La forma più forte di dominio è il dominio che hanno su di noi le cose nelle quali scegliamo di credere. Sono cresciuto in chiesa, la musica religiosa t’insegna a essere un servitore della musica. E se servi la musica, la musica si prenderà cura di te. Credo nella musica”. “Per me il divino è femminile. Credo nella magia. La magia è lo Steinway, la Fender Stratocaster, mia moglie e i miei figli”, aggiunge.

Sananda Maitreya, la moglie Francesca Francone ed Ema Stokholma (Foto Instagram)

Terence Trent D’Arby: “Il concerto più bello l’ho fatto in casa con George Harrison e Don Henley”

Ai giovani artisti che vogliono trovare un posto nel mondo della musica, Terence Trent D’Arby dice: “Se convinci la gente che la tua musica l’hai scritta e suonata perché nasce dalla tua sincera necessità di dire quella cosa, un pubblico lo troverai. Suoni bene, male, è un altro discorso. Ma se sei sincero la gente lo percepisce. Nessuno sente il bisogno di ascoltare musica prefabbricata da un’azienda. Crea le tue regole. Abbi l’audacia di credere che la tua voce merita di essere ascoltata. Se la musica ce l’hai dentro, la musica troverà il modo di manifestarsi”. Poi condivide un ricordo su un concerto memorabile: “Tanti anni fa a Londra: chiamo la mia ex, sento il pianoforte in sottofondo, chiedo che succede. Lei mi fa: niente, ci sono qui George Harrison e Don Henley, c’è un po’ di casino. Metto giù, corro lì, meno male che abitavamo vicini”.

“George Harrison era un uomo meraviglioso, un incontro di quelli che ti segnano nel profondo. Ho un solo rimpianto: era un gran fumatore e quel giorno non avevo niente con me, avremmo potuto dividere una canna. Mi ha fatto il complimento più bello della mia vita, mi disse: ‘A John saresti piaciuto un sacco’”, conclude.

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02 Luglio 2024, 10:20

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