30 Ottobre 2024, 13:47
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Luciano D’Adamo è un uomo di 68 anni che è rimasto in coma pochi mesi dopo essere stato investito, nel 2019. Al suo risveglio però l’uomo ha creduto di essere nel 1980, esattamente il 20 marzo, e di avere 23 anni. Dalla sua mente erano spariti 39 anni di vita. Il matrimonio, i figli, tutto. L’uomo ha raccontato la sua storia a Walter Veltroni come si legge sul “Corriere della Sera”. Luciano D’Adamo al risveglio ha ricordato subito di essere stato vittima di un incidente, ma non quello giusto. “Avevo concluso il mio turno a Fiumicino dove lavoravo, ero tornato a casa, poi ero uscito e un’auto mi aveva travolto a Monte Mario. No, dicevano loro – dice riferendosi ai medici – non era andata così. Il 6 febbraio del 2019 ero uscito dalla scuola dove facevo il cuoco e stavo portando al cassonetto la spazzatura. È lì che ero stato travolto e avevo sbattuto la testa”. “Quando il medico del pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito di Roma mi ha chiesto chi dovesse avvertire della mia famiglia, gli ho detto di chiamare mia madre – ricorda -. Mi aveva investito un’auto che poi era fuggita. Mi aveva agganciato e sbattuto contro una macchina parcheggiata”.
“Ero rimasto a terra, con la faccia sull’asfalto – spiega -. Ricordo che avevo molto freddo, tremavo e che un carabiniere mi coprì con il suo cappotto. Al dottore diedi il numero di mamma, 3381270. Lui mi corresse: “063381270”. Mica chiama da fuori Roma, obiettai. Lui mi guardò, sorpreso”.
I medici scoprono dell’amnesia dell’uomo in pochi istanti: “Il medico mi chiese se ero sposato. Gli risposi che lo avrei fatto quattro mesi dopo, il 20 luglio. La mia fidanzata ha diciannove anni, aggiunsi. Lui alzò lo sguardo, sorpreso, dalla cartella clinica e sorrise, ‘Hai capito? Caspita, complimenti’. Non comprendevo cosa diavolo ci fosse da ridere”. Poi l’incontro con il figlio: “Dopo un po’ entra un ragazzo che, tutto agitato, mi dice ‘Ciao Papà, come va?’. Ecco il matto, ho pensato. Avrà avuto trent’anni, come faceva a essere mio figlio, visto che ne ho ventitrè? Tira fuori dalla tasca un coso su cui aveva delle foto che mi mostra. Non ne riconosco nessuna, non capisco chi sia e di cosa mi stia parlando. Mi chiedo solo dove sia il rullino di quella macchina fotografica così miniaturizzata. Forse anche lui ha sbagliato stanza, malato, Luciano. Boh”.
Il 68enne scopre tutto per caso: “Il giorno dopo mi fanno muovere e vado in bagno. Passo davanti allo specchio e guardo la persona che compare. È un anziano signore, non io. È un’altra persona. Lancio un urlo, arrivano le infermiere e cercano di calmarmi. Ero terrorizzato, sembrava un film dell’orrore. Mi hanno spiegato che eravamo nel 2019. Ma come era possibile? Per me era il 20 marzo del 1980”.
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Un vuoto di quasi 40 anni e la convinzione di avere 23 anni. “Non ricordavo nulla di quei trentanove anni. Non i fatti, non le cose che avevo vissuto, non le persone. Era come se non li avessi vissuti. Io avevo ancora ventitré anni, non certo più di sessanta. Io quel tipo nello specchio non lo conoscevo, non ero io. I medici non riuscivano a spiegare quello che mi capitava, dissero alla signora e al ragazzo che sarebbe passato, che ci voleva solo tanta pazienza”. E aggiunge: “Da allora sono trascorsi altri cinque anni, di pazienza ne abbiamo avuta tanta, ma non è successo nulla. La mia memoria è ferma a quel giorno di marzo del 1980 e da lì non si schioda”. L’incontro con la moglie è stato un altro trauma: “Quella signora gentile mi aveva spiegato che l’incidente era accaduto quasi quarant’anni dopo quello che io pensavo. Mentre mi parlava io l’ho cominciata a fissare negli occhi e le ho solo detto: ‘Tina…’”.
“Era lei, la ragazza di diciannove anni dalla quale stavo andando la mattina dell’incidente – svela – almeno del ‘mio’ incidente. Mi ha fatto vedere le foto del nostro matrimonio e piano piano abbiamo insieme ricostruito la mia vita, la nostra vita. Che per me è un pozzo di buio”.
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Il percorso è lungo e i progressi sono pochi. “Io continuo a non avere ricordi – ammette l’uomo uscito dal coma -. Ma nell’anno di lavoro ‘ricostruttivo’ che ho fatto all’istituto Santa Lucia con le dottoresse Incoccia e Lucarelli, ho cercato di cucire la mia vita slabbrata. Mia moglie ha preparato delle cartelle, anno per anno, con le fotografie, i video, degli scritti per aiutarmi a datare i momenti fondamentali. Io scrivo tutto quel poco che mi torna alla mente. Non sapevo che la mia Roma avesse vinto due scudetti, per i quali devo avere molto gioito, né che l’Italia si fosse aggiudicata due campionati del mondo. Li ho rivisti, quelli del 1982, esultando come fossero in diretta. Quei giocatori li conoscevo tutti, salvo Bergomi. Ma non sapevo chi fossero Maradona, Messi, Ronaldo, Del Piero… I flash più intensi li ho conosciuti con due nitidi ricordi del parto dei miei due figli, Simone e Marco. Ogni particolare mi è tornato alla mente, li ho rivisti vivendoli, non semplicemente ricordandoli”.
“Non so nulla di Tangentopoli, di Falcone e Borsellino, di Ustica, di Berlusconi, dei Papi eletti, dimessi, morti, dei Presidenti della Repubblica, di Gorbacev, di John Lennon, della caduta del muro. È come se non li avessi vissuti, come se non ci fossi stato. Ho un flash sulla strage di Bologna”, dice con amarezza. L’uomo ricorda “le Torri gemelle, quando c’ero io, le avevano appena costruite… Che orrore. Ma sto ricostruendo ogni cosa. Sono molto curioso. Vado su Google e vedo, capisco. Pensa se, come era un tempo, ci fossero state solo le enciclopedie. Io sarei ancora più vuoto. Il portiere della scuola dove lavoro oggi mi ha insegnato a usare la rete e il cellulare e mi piacciono”.
Infine ammette: “Non sono felice. Non posso esserlo. Ho scoperto che mia madre è morta e non ho neanche il ricordo di quando sono andato ai suoi funerali. Uno dei miei fratelli, siamo rimasti in quattro, non l’ho nemmeno riconosciuto. Combatto, ho un buon carattere. Ma ho vissuto solo un terzo della mia vita. Trentanove anni sono nel buio. Ho imparato che solo la memoria è la vita vissuta. Il resto vola nel vento”.
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30 Ottobre 2024, 13:47