Per il generale Roberto Vannacci non è un buon momento. Il militare è stato sospeso dall’impiego per 11 mesi “con conseguente uguale detrazione di anzianità e dimezzamento dello stipendio” a seguito di un’indagine interna avviata nei mesi scorsi dal ministero della Difesa dopo la pubblicazione del libro “Il mondo al contrario”. Il ministero ha motivato la sentenza asserendo che il libro scritto dal generale “avrebbe asseritamente denotato carenza del senso di responsabilità” e determinato una “lesione al principio di neutralità/terzietà della Forza armata, compromettendo il prestigio e la reputazione dell’Amministrazione di appartenenza e ingenerando possibili effetti emulativi dirompenti e divisivi nell’ambito della compagine militare”. Il generale ha fatto sapere che farà ricorso e si appresta a pubblicare un nuovo libro, un’autobiografia intitolata “Il coraggio vince”.
“Il mio primo eroe è stato mio nonno materno, marinaio. Fece tutta la prima guerra mondiale”
In un’intervista al “Corriere della Sera” il generale anticipa qualcosa, partendo da chi ha ispirato la sua carriera militare. Il suo primo eroe è stato il nonno materno. “Agostino Orlando, classe 1898 – racconta -. Sardo della Maddalena, marinaio. Si arruolò nel 1914, fece tutta la prima guerra mondiale, poi la Spagna. Adorava D’Annunzio, era stato con lui nell’impresa di Fiume, mi recitava le Odi a memoria. Un uomo di cappa e spada. A Pola si innamorò di una ragazza croata di origine ungherese, Rosa, la portò via con sé e la sposò: mia nonna. Durante la seconda guerra mondiale la sua nave fu affondata e lui dato per disperso, rintracciò i suoi con un messaggio radiofonico: Agostino Orlando cerca la famiglia…”.
Anche il padre era un militare: “Oggi ha 90 anni, si chiama Costanzo. Esperto di artiglieria contraerea. Era stato in America, a El Paso, a studiare il sistema Hawk. Io però sono cresciuto a Ravenna. Da bambino mi dicevano: se stai bravo, ti portiamo in caserma. Ricordo un Capodanno, era il 1973, avevo 5 anni. Con i figli degli altri ufficiali entrammo nell’armeria. Io mi intrufolai tra le sbarre, misi un elmetto, presi un fucile, ne passai altri ai miei compagni… Ci sorprese un caporale che per poco svenne”.
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“Ho rischiato la vita, mia e dei miei uomini, per salvare la vita di persone con la pelle diversa”
Il generale ricorda l’infanzia a Parigi. “Andavo a scuola con una bellissima bambina, che portava i capelli corti e pareva un maschiaccio: Carla Bruni”, ricorda. “Fingevo di inciampare in metropolitana per toccare i neri – svela – ma avevo sei anni! E non avevo mai visto un nero in vita mia. Mi colpiva il bianco degli occhi, dei denti, del palmo delle mani. Volevo vedere se erano fatti come noi”. Il generale tiene a sottolineare: “Ho rischiato la vita, mia e dei miei uomini, in Somalia, in Ruanda, in Costa d’Avorio, nello Yemen, in Iraq, in Afghanistan, per salvare la vita di persone con la pelle diversa. Quando scrivo che Paola Egonu non ha i tratti somatici dell’italianità, non discrimino; esalto una differenza”. Va ricordato che Paola Egonu ha querelato il generale per quello che ha scritto su di lei nel suo primo libro. “Se io dicessi che non può entrare al bar, allora sarei discriminatorio – precisa – Io dico al contrario che è un valore aggiunto, ha un effetto propulsivo; senza di lei nella pallavolo non vinceremmo”.
“In Costa D’Avorio si scagliarono in duemila contro sei, ho pensato: ‘qui ci mangiano'”
Nella sua biografia Roberto Vannacci parla di tutte le volte che ha rischiato la vita durante le missioni in giro per il mondo. “A Kigali bombardarono l’aeroporto da cui dovevamo riportare in patria i nostri connazionali – racconta -. Infuriava la guerra civile, ho visto massacri spaventosi, cadaveri violati. Tentammo di fuggire via terra, raggiungendo la frontiera con il Burundi. Alla fine un C-130 venne a prenderci, ma era troppo carico, non si staccava dalla pista, a lungo volammo radenti, seduti sull’elmetto per proteggerci dai colpi di fucile, fin quando dall’oblò vidi il lago Vittoria, e pensai: Vittoria, che bel nome…”. Poi ricorda quando in Costa d’Avorio sfiorò il linciaggio: “Ci avevano scambiato per francesi. Nella piazza di Abidjan, duemila persone contro sei su una jeep: minacce, insulti, sputi; ho pensato: qui ci mangiano. I dieci minuti più adrenalinici della vita. Se uno di noi avesse reagito, non sarei qui a raccontarlo”.
“Il mio libro è un’ode alle diversità, ben diverso dalla discriminazione”
Nel libro il generale ricorda quando ha dormito nella caserma della Legione straniera a Gibuti. “Come mascotte tenevano un ghepardo, me lo lasciarono accarezzare. C’erano parecchi italiani. Da ragazzo il mio film di culto era ‘La Légion saute sur Kolwezi’, da noi ‘Commando d’assalto’, sul blitz della Legione in Zaire, con Giuliano Gemma…”. Poi aggiunge: “In Somalia ho recuperato i corpi di due parà italiani”. Nel libro scrive di aver provato odio: “Amore e odio sono sentimenti e sono i propellenti della vita. Chi vorrebbe cancellare l’odio vorrebbe cancellare il motore dell’universo, il combustibile che muove il mondo”. In merito all’indagine per istigazione all’odio razziale dice: “La ritengo un’accusa totalmente infondata. Il mio libro è un’ode alle diversità. Ma l’elogio della diversità è ben diverso dalla discriminazione. La diversità consiste nel riconoscere caratteristiche diverse in ognuno di noi: cultura, origini, etnia, religione, credo politico. La discriminazione riguarda i diritti e la dignità; e nei miei libri non vi è traccia di questa esecrabile posizione ideologica”.
“L’odio è un sentimento, ma giustifico chi lo trasforma in un’azione criminosa”
“L’odio è un sentimento che non si può cancellare dalla mente con un colpo di spugna – continua il generale – Io odio gli stupratori di bambini. Chi maltratta gli anziani. Posso odiare il nemico. Potrei odiare chi facesse del male alle mie figlie, Elena e Michela, che hanno 12 e 10 anni. Ma non giustificherei mai chi trasformasse questo sentimento in un’azione criminosa. Questa è la differenza tra l’uomo, che è essere che domina gli istinti, e la bestia umana, che si fa sopraffare dalle pulsioni criminali”. Roberto Vannacci ha presentato una querela contro Pier Luigi Bersani. “Non sono una persona vendicativa – spiega – ho aspettato il limite giuridico dei 90 giorni prima di sporgere denuncia; ma in tutto quel tempo dall’onorevole Bersani non una parola di ripensamento sulle offese che mi ha rivolto”. “Non mi aspettavo delle scuse o che si cospargesse il capo di cenere: sarebbe bastata una semplice telefonata tra uomini; per non dire quanto sarei stato soddisfatto per una sincera stretta di mano. Purtroppo non è andata così. Evidentemente abbiamo diversi valori di riferimento”, conclude.
“Quando mi dicono che gay e lesbiche si nasce, non sono del tutto d’accordo”
Roberto Vannacci ha dichiarato che nelle sue vene scorre almeno qualche goccia di sangue di Cesare, nonostante il condottiero fosse bisessuale. “Cosa facesse Cesare a letto sono affari suoi. È stato uno dei più grandi comandanti della storia. E sul carro dei trionfi non saliva vestito di piume di struzzo. Io non ce l’ho con il Gay Pride, ma con l’ostentazione”. “Una volta l’anno, va bene – aggiunge – tutti i giorni, con una pressione continua, dà fastidio a molti. Non sono omofobo, ho comandato soldati omosessuali. Ma quando mi dicono che gay e lesbiche si nasce, non sono del tutto d’accordo”. “Il genoma dell’omosessualità non l’hanno mai trovato – continua – e i condizionamenti sociali sono importanti. Trovo inopportuna la massiccia esposizione di modelli omosessuali verso i bambini. Ho cercato in Rete: secondo l’istituto di statistica britannico, i non eterosessuali sono circa il 3,4% della popolazione. Le pare che in televisione la percentuale sia rispettata? Perché su Netflix non approvano una serie se non ci sono scene omosessuali?”»
Il generale ha criticato Marco Mengoni per il suo look a Sanremo. “Mi hanno mandato la foto di Mengoni. Quando si vede un uomo con la gonna, e non siamo in Scozia e non è Carnevale, ci si fa una risatina sotto i baffi – continua – Non è libertà artistica, è un’imposizione. Il problema non sono i gusti sessuali; è l’esibizionismo. Non lo scrivo io, ma Kirk e Madsen in “After the ball”, un libro del 1989: c’è una strategia ben precisa”. “Si comincia con la desensibilizzazione: si vaccina il mondo inondandolo di immagini di omosessualità, in modo che non sia più percepita come una cosa strana. Poi si nega che la religione contrasti con l’omosessualità, perché la religione è amore…”, conclude.