04 Febbraio 2024, 09:06
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Renato Pozzetto, 83 anni, ha pubblicato la sua autobiografia dal titolo “Ne uccide più la gola che la sciarpa” e ha raccontato il suo progetto al “Corriere della Sera”. “Ho accolto il suggerimento di alcuni amici – spiega – Durante i nostri incontri, capita di condividere ricordi, aneddoti, storie divertenti oppure, dopo qualche bicchiere, di cantare vecchie canzoni. In molti mi hanno spinto: Renato, perché non scrivi un libro? A un bel momento, mi sono messo sotto”. Tutto gira intorno alla comicità. “Sono stato attratto sin da ragazzo dall’osservazione delle persone – racconta – e a commentare un gesto, un modo di essere o di dire in maniera surrealista, è qualcosa che ha sempre fatto ridere me, per primo. Qualcuno disse che i testi di Cochi e Renato erano cazzate divertenti. Invece erano espressioni di un punto di vista scelto, preciso”.
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L’attore svela le emozioni provate durante la scrittura del libro: “Un’autobiografia è un viaggio. È stato come ascoltare qualcosa che mi raccontava un’altra persona per la prima volta – svela – Ho sorriso, mi sono emozionato, ho riscoperto qualcosa che si era perduto nella memoria. E ho cercato di essere onesto nel descrivere le storie preziose della mia vita”. L’incontro decisivo è stato quello con l’amico con cui per anni formò il duo comico Cochi e Renato. “Il destino ci ha legati prima che nascessimo – ricorda – visto che i nostri genitori si conoscevano da tempo. Ci capivamo, ci intendevano, ci facevano ridere le stesse cose sin da quando eravamo bambini. Ascoltavamo le canzoni popolari, le canzoni di protesta e sull’onda di quelle musiche e di quei testi sono nate le nostre prime esibizioni. Niente giradischi, radio zero o quasi. Con l’aiuto di Gino Negri, il direttore d’orchestra che assieme a Dario Fo, Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi creò il repertorio delle canzoni della mala”.
Nel libro l’attore parla della profonda amicizia che lo ha legato ad Enzo Jannacci. “Enzo era un poeta – racconta – ed erano poetiche e delicate le canzoni di Toffolo, talmente belle da sembrare scritte da un altro. Lo prendevamo in giro perché non sapevamo come fargli i complimenti. Jannacci fu un vero ispiratore per noi, raccontava e cantava storie struggenti anche per lui. Ed era imprevedibile. Lo stavi a sentire e potevi ridere o piangere nel giro di un minuto. Ci siamo trovati naturalmente. Noi ascoltavamo i suoi brani, lui veniva ad ascoltare noi, ci apprezzava. Ci siamo voluti bene e abbiamo condiviso una vena umoristica comune”.
La carriera di Renato Pozzetto parte dopo una lunga gavetta sul palco del Derby Club seguito dall’esordio a “Canzonissima”, con Raffaella Carrà incerta sul coinvolgimento del duo comico. “Parecchi autori della Rai venivano al Derby – spiega – ci conoscevano e si erano accorti che i nostri testi erano nuovi, originali, funzionavano. La Carrà non conosceva e non poteva capire il nostro linguaggio. Così venne fuori l’idea di partecipare in collegamento da una cantina, che in realtà era uno studio separato. La canzone ‘E la vita, la vita’ come sigla finale. Divenne subito popolarissima”.
Il debutto al cinema con il film “Per amare Ofelia” segnò la fine del duo.“Quando arrivò la proposta non sapevo come fare – ammette – perché avevamo sempre lavorato in coppia. Mi confessai con Cochi. Fu accogliente. Se vuoi fare questo film, fallo pure. Lesse il copione anche il nostro Gesù Cristo e cioè Jannacci. Risposta: per me è una cagata pazzesca. Gli risposi con la frase di una sua canzone, Prete Liprando: ‘E io lo faccio lo stesso!’. Poco dopo chiesero anche a Cochi di recitare in un film importante, Cuore di cane, tratto dal romanzo di Bulgakov. Così mi sentii a posto nei confronti del mio compagno di vita e di lavoro”. Il film più amato resta “Il ragazzo di campagna”. “È il più amato dal pubblico – dichiara – Un amico produttore mi ha raccontato che è stato visto da milioni e milioni di persone, roba da montarsi la testa”.
Nel suo libro il racconto più emozionante è quello dedicato alla moglie Brunella, scomparsa nel 2009. “È stata la persona della quale mi sono innamorato – confessa – ed è stato un amore lungo una intera vita. Ha allevato i nostri figli, Giacomo e Francesca, sacrificandosi, dedicando pazienza e speranza anche a me. Dotata di senso dell’umorismo, rideva mentre provavamo i nostri testi, a casa. Penso a lei in continuazione. E talvolta penso che avrei potuto fare meglio, darle di più”. La sua è un’esistenza piena e senza rimorsi. “Ho affrontato la vita percorrendo un equilibrio fatto anche di leggerezza. E ho avuto una fortuna della Madonna. Mi pare abbastanza per essere sereno quando entri, diciamo così, nel rettilineo di arrivo”, conclude.
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04 Febbraio 2024, 09:06