Paolo Crepet affronta il tema del disagio giovanile. Lo fa attraverso i suoi libri, ma anche con il suo ultimo spettacolo teatrale “Mordere il cielo”, che sta riscuotendo un ottimo successo di pubblico. In un’intervista rilasciata a Gianluca Gazzoli nel podcast “BSMT”, parla anche del successo dei suoi spettacoli: “Ho scritto 43 libri, le serate sono tante: abbiamo fatto 72 mila presenze in tutta Italia e sono numeri che richiedono responsabilità. La gente viene perché è confusa, cerca una stella polare, a una certa età ti danno credibilità: ci sono persone che mi ringraziano per una cosa che ho detto 25 anni fa e che sostengono abbia cambiato la loro vita”. Della sua vita privata racconta: “Io ero vicino di casa di Caetano Veloso, avevo 32 anni. Lui suonava la chitarra, all’inizio non avevo capito fosse lui, quasi mi disturbava, invece scoprii di abitare accanto al mio idolo”. Poi aggiunge: “Ho lavorato con Franco Basaglia, il mio maestro: lo portavo in giro in macchina, gli facevo da autista. Ricordo una delle rare cene a cui partecipai, con Fellini e altri premi Oscar. Lui morì giovane nel 1980, furono anni difficili”.
Tra gli avvenimenti più incredibili della sua vita ce n’è uno legato alla strage di Bologna: “Il 2 agosto 1980 ero alla stazione di Bologna proprio per andare da lui, mi salvai perché ero dietro un palazzo che resse l’urto. Telefonai a mia madre dopo le tre del pomeriggio, lei pensava fossi morto, non poteva crederci”.
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“Capita a tutti di cadere, devi sapere che con le tue forze riesci a tirarti su”
Del giorno della strage di Bologna, Paolo Crepet ricorda ogni dettaglio: “Verso sera prendemmo un autobus, ero l’unico a non essere ferito: mi sembrava l’inferno, riuscii comunque a salutare Franco, un mio secondo padre, per l’ultima volta. Basaglia è stato il nostro Martin Luther King, lottò per i diritti degli ultimi. Ha aperto i manicomi, ha fatto capire che i malati di mente non dovevano per forza avere la camicia di forza”. Lo psichiatra e scrittore parla di disagio psichico e spiega: “E’ ‘comunicante’: se vivi con tua moglie depressa quella roba la respiri. Ho la sensazione che ci sia un sovradimensionamento, che siano tutti disagiati, mi pare too much. Non vuol dire che qualcuno bari ma certe cose possiamo risolvercele da noi senza comunicarlo per forza, rimediare da soli ai propri errori”. “Capita a tutti di cadere – sottolinea – devi sapere che con le tue forze riesci a tirarti su: questa è una cosa importante, altrimenti non impari a cavartela da te. E’ giusto chiedere aiuto, adesso non è più come 50 anni fa quando gli attacchi di panico sembravano uno stigma, ma non bisogna neanche esagerare al contrario altrimenti diventa una melassa”.

Paolo Crepet: “Stiamo dando tutto ai giovani, se hanno tutto non cercano più nulla”
Il suo messaggio è chiaro: bisogna cambiare modo di percepire le cose della vita. “Mia nonna diceva ‘Badati’, non può essere sempre colpa degli altri – spiega ancora – prendere coscienza dei propri errori, di cosa può essere andato storto, è un passo fondamentale. In Francia si dice ‘Troppa biada ammala i cavalli’, perché il troppo fa male. Stiamo dando tutto agli adolescenti, se hanno tutto non cercano più nulla. Così diventi molle, non cresci forte”. La linfa per i giovani deve essere l’esempio: “Devono guardare un adulto e trovare interessante quello che fa. Toscani era severissimo, non bisogna essere autoritari ma autorevoli. La figura del maestro ora è assente? Armani lo è, anche Valentino Rossi ha fatto crescere dei ragazzi. E bisogna andare contro al sistema, così si è interessanti. Io non ho mai avuto un biglietto di ritorno nella mia vita quando viaggiavo, se sai già quando torni è un viaggio di nozze”.

Paolo Crepet sui giovani: “Mi fa ridere quando vedo i ragazzini col trolley a scuola…”
“Tra ‘you wanna’ e ‘you get it’ c’è un oceano di sudore – aggiunge Paolo Crepet – e dietro ai problemi di molti giovani c’è un problema che si chiama eredità. Hai la casa della nonna, la affitti e sei a posto. La comfort zone cos’è? La vita non è comfort: se fai le cose è un rischio, quest’idea del confortevole è assurda. Adesso c’è il topper sopra i materassi, a me fa ridere così come quando vedo i ragazzini col trolley a scuola…”. Lo psichiatra è molto critico contro i cosiddetti haters: “La gente è incattivita perché ha un microfono, ci sono i leoni da tastiera, io ricevo mail di gente cattiva. L’Ucraina sembra un campo da tennis, non ci interessa più nulla, la visione del male non fa del bene. L’uomo migliora quando riesce a trasformare il male in bene, io ne ho visti tanti”. Della sua esperienza in tv rivela: “Il mio maestro è stato Maurizio Costanzo, un altro personaggio straordinario era Paolo Limiti che ti insegnava a stare in tv, anche come accavallare le gambe. Mi diceva che avevo venti secondi per dire una cosa intelligente”.
“Come mi chiamò Costanzo? Fu una casualità – ricorda – gli finì in testa un mio libro sul suicidio che era nella libreria di una stanza del teatro dove registrava, una sua assistente mi conosceva e le chiese di chiamarmi. Dopo le prime apparizioni, disse che sfondavo lo schermo. Mi consigliò però di diversificare, di non parlare solo di suicidio. Mi disse che avevo il talento per farlo, altrimenti sarei stato tacciato per portasfiga…”.
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“I social? Di bello hanno che li seguono i giovani, li vedo anche a teatro”
Lo scrittore ammette di non avere alcun interesse per la politica. “Non ne sono mai stato attratto – dice – prima c’erano uomini di Stato, con una statura. Ricordo quando a Torino passò Luigi Einaudi, c’era un rispetto che ora non esiste. La politica la fa anche un bravo insegnante, tira su una generazione. Qualcuno c’è ancora, anche se addolorato. Non guadagnano niente, così un genitore si sente autorizzato (sbagliando) a dire ai figli che deve stare zitto chi prende 1400 al mese. Sono preoccupato però dal sovraffollamento del pianeta. Siamo troppi, 10 miliardi, occorrerà una politica diversa oppure tante guerre”. Sui social ammette: “Di bello hanno che li seguono i giovani, li vedo anche a teatro. Se cerchi qualcosa è già bello, non sei un facilone. Instagram però ci insegna la perfezione e questo è un delitto, è offensivo verso l’umanità. Lì esiste solo la faccia, c’è anche un cervello. C’è un rapporto tra quei filtri e il disagio, è un inganno. Crea anche competizione”.
“Conosco gente che fa musica, vedo quanto lavora, questo non si vede. Se vuoi durare e riempire gli stadi 50 anni dopo devi lavorare. Altrimenti diventi un rapper che ha successo due anni e poi sparisce”. “Adesso cerchiamo solo consenso, bisogna invece sapere fare le cose perché prima o poi ci sarà un falò della vanità. Bisogna cercare i ribelli, Marlon Brando e Bob Dylan lo erano. Penso che da qualche parte del mondo ci siano”, conclude.