Paolo Crepet, 73 anni, non andrebbe mai a “Belve”. In un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera”, il noto psichiatra e sociologo esperto di tematiche giovanili dice a chiare lettere che il successo della trasmissione ideata e condotta da Francesca Fagnani è dovuto al fatto che “la gente è disperata”. “Cosa c’è di interessante? – si chiede – Non mi hanno mai invitato e io non ci andrei mai. La Fagnani sarà anche carina, ma è colpa di chi fa il programma che deve cercare la volta in cui sei scivolato sulla buccia di banana: disperazione allo stato puro. E gli adolescenti lo vedono che noi siamo spietati”.
“La televisione trash di cui si parlava anni fa era l’anticamera di questo – afferma il professor Crepet – adesso è una televisione animalesca, infatti si chiamano ‘Belve’, ‘Iene’. Non c’è nulla di umano. Se avessi ospite Giorgia parlerei solo del dolore per la morte del suo fidanzato: quante volte sei morta quando l’hai saputo? Come ti sei tirata su? Chi ti ha raccolta col? Invece qui è come ridurre la vita di Verdi a quando ha lasciato la moglie: sì, è vero, ha lasciato la moglie. E quindi? Cosa toglie al sublime dell’Aida?”.
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Più Baricco, meno “Belve”. Paolo Crepet: “Andare in tv a parlare dei fatti propri è da poveracci”
Paolo Crepet elogia la tv di un tempo e cita Alessandro Baricco “che si era inventato una grande televisione e tu da quelle trasmissioni ne traevi nettare. Magari non sapevi nulla di lirica o di letteratura, ma quell’oretta ti permetteva di aprire il cervello. Ma se lo immagina Baricco che domanda: ma scusi, lei quella volta, col bagnino, c’è stata o non c’è stata? È ridicolo solo pensarlo”. Secondo lo psichiatra e sociologo, una valida soluzione potrebbe essere “lo sciopero, spegnere la televisione”. “A molti giovani della tv non frega più niente, ma alla fine si guarda lo stesso per gli estratti ripresi sui social – spiega – Cose veramente inguardabili. Ogni tanto in treno osservo cosa guarda la gente: tutti davanti al cellulare a guardare per ore un gattino che scivola dentro la vasca. Il livello è questo. E se i giovani vedono che anche la zia guarda il gattino, è finita (…) Io sono stato affascinato e ispirato, nella mia vita, da persone che sapevano declamare le proprie scelte, le proprie passioni”. “Io credo che questo sia il prodotto di un declino culturale evidente – sentenzia – I nostri mezzi di comunicazione, tutti, non hanno di che parlare realmente e questo ha fatto emergere una necessità voyeuristica. Perché uno deve andare in televisione a parlare dei fatti suoi? È da poveracci. Inviti il maestro Muti e gli chiedi: lei aveva un affaire con Tizia o Caia? Ma che domande sono? Uno si dovrebbe vergognare. Il mondo dei media si è abbassato a un livello che una volta si sarebbe detto ‘da lavandaia’”.
“A scuola c’è il registro digitale, ma alle due di notte non sai dov’è tua figlia tredicenne”
Paolo Crepet spiega così il motivo del suo successo: “La gente ha bisogno di guide e, dove non le trova, le inventa. C’è bisogno del libretto delle istruzioni per la vita. Però poi le istruzioni sono così semplici e banali che uno si domanda: ma perché non le seguono? Non stiamo parlando di illuminazioni di Einstein”. Sono tre, a suo dire, gli accorgimenti da seguire: “Primo: credere nei bambini e nei ragazzi, quindi lasciarli sbagliare. Oggi c’è una schizofrenia da iper controllo: a scuola c’è il registro digitale, ma alle due di notte non sai dov’è tua figlia tredicenne. La geolocalizzazione ti dice solo che è in quella piazza, ma magari è ubriaca. Secondo: dare l’esempio non è passato di moda. Se i genitori sono sempre sul cellulare, cosa deve pensare un figlio? Terzo: cambiare la scuola davvero, non con tentativi. Quest’ultimo è complicatissimo, ma il ministro qualcosa di buono lo sta facendo, come rintrodurre il 5 in condotta”.
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“Pur di tenerci stretta la nostra comfort zone abbiamo rinunciato alle emozioni”
In giro Paolo Crepet vede pochissime emozioni: “Trovare un ragazzo e una ragazza che si baciano è rarissimo – sottolinea – prima fuori dal liceo ci si dava appuntamento per questo. Vedere due che limonano sotto un portico non esiste più. Abbiamo fatto un baratto: pur di tenerci stretta la nostra comfort zone abbiamo rinunciato alle emozioni. Anche l’amore è visto come una fatica, un impegno”. Ognuno, inoltre, porta dentro di sé una cicatrice che altri non è che “il dolore che c’è in ognuno di noi”. “Mia madre è morta giovane ed è stato un dolore incredibile, ma anche un esame che va male o di una ragazza che ti lascia sono ‘inciampi’ e, se non li hai, non hai vissuto – argomenta – Sono lezioni, momenti di crescita”.