Paolo Antonacci, figlio di Biagio e nipote di Gianni Morandi, è uno degli autori più gettonati della musica italiana. Il 29enne ha firmato tormentoni quali “La dolce vita”, “Mille”, “Disco Paradise”, “Mon Amour”, “Bellissima” e le canzoni sanremesi di Rosa Chemical (“Made in Italy”) e di Tananai (“Tango”). “Sono nato pensando costantemente alle canzoni – svela in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” – A un certo punto ho deciso di entrare in studio, di scrivere e per un bel po’ di tempo, ovviamente, non è successo niente. Poi spallata dopo spallata siamo arrivati qua ed essere interessanti, forse, rimane l’unica cosa importante che continuo a perseguire (…) Non avrei potuto fare altro, anche se è brutto da dire. Oggi mi sento veramente benedetto”.
Paolo Antonacci, figlio di Biagio, ha debuttato come cantautore
Il figlio di Biagio Antonacci ha scritto il suo primo brano alle elementari. “Ovviamente, per la ragazza che mi piaceva – racconta – Nella mia testa pensavo che chi scriveva canzoni sarebbe stato notato”. Oggi, continua, “penso a chi dovrà ricevere il brano perché ogni artista ha un suo lessico, dei mondi che sono giusti per lui e non sono sovrapponibili. Quindi con ognuno di loro, anche insieme, cerco di scegliere i passi giusti”. “Sono fiero di tante canzoni, dalle leggere alle impegnate – confessa il giovane autore – Sono fiero quando vedo che la gente le canta. Se devo citarne un paio posso dire Tango, una ballata che potrebbe avere l’ambizione di durare un po’ di più nel tempo e il primo pezzo che ho cantato, L’età d’oro, quello con cui mi sono lanciato nel mondo del cantautorato (il nome d’arte è Paolo Santo). I miei parenti mi danno tutti dei consigli, poi magari non sono così bravo a seguirli”.
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“A 20 anni avevo un disturbo ossessivo compulsivo molto forte”
Paolo Antonacci, figlio di Biagio e di Marianna Morandi, ha attraversato un momento difficile quando aveva 20 anni. Fu lui stesso a raccontarlo nel 2023 al “Corriere della Sera”: “Avevo un disturbo ossessivo compulsivo molto forte, vivevo in una foresta di simboli e mi vergognavo come un cane… sono finito in day hospital per una cura di antidepressivi. Ero nella me*da, avevo delle canzoni ma avevo anche paura di espormi per la solita questione di famiglia. Smisi le cure e il dottore temeva l’effetto rebound: ‘Finirà a fare zapping sul divano’, disse. Sei mesi (…) ho cambiato cure e mi sono ripreso”. “In Italia le storie dei figli di… hanno avuto spesso destini non splendidi e che molti validi sono stati vittima del cliché”, disse.
