Paola Ferrari è una giornalista sportiva ma anche produttrice e conduttrice di programmi come “La Domenica Sportiva” e “90° Minuto”. Da molti considerata la regina del calcio, è stata la prima a padroneggiare un settore che era stato fino a quel momento prettamente maschile. “Ho fatto per prima quello che poi è stato imitato da altre – sottolinea in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” – Sono una che vuole sempre abbattere le barriere, aver aperto la strada è un vanto. Ora mi aspetto che le colleghe conquistino altre postazioni, ma a bordo campo ci sono stata per prima io: Nils Liedholm mi faceva portare il tè caldo e un poliziotto mi diede i guanti di gomma delle perquisizioni per infilarli sopra alle calze, stavo congelando”.
Dei suoi esordi ricorda: “Abitavo in zona Città Studi e sotto casa mia c’era un bar dove veniva Beppe Viola. Indossava un cappotto pesante, ero incuriosita dal suo lavoro. Dicevo a tutti: lo voglio fare anche io. Mio padre mi portava a vedere le partite all’Arena con i fogli di carta di giornale sulla pancia per non farmi prendere freddo. Fino a 7 anni è stata una bella infanzia, poi è iniziato l’inferno”.
“Mia madre ha cercato di uccidermi almeno tre volte”
La giornalista racconta senza filtri il periodo forse più duro della sua vita: “Mia madre ha avuto un forte esaurimento ed ha cominciato ad essere molto violenta. Ai tempi non c’era Telefono Azzurro: ha cercato di uccidermi almeno tre volte, la prima annegandomi. Si accaniva anche contro mia nonna inferma e le dava delle forbiciate sulle braccia. La prima volta ricordo ero tornata da scuola e raccontai il tema che avevo svolto: ‘Il tuo animale preferito’. Dissi che avevo scritto il cavallo e lei diventò un diavolo: avrei dovuto scrivere il cane. Ricordo che tremavo di paura”. Paola Ferrari non riusciva a trovare protezione neanche nel padre. “Si disinteressava – svela – era come se quello che succedeva in casa non lo riguardasse, più tardi ho scoperto che aveva una relazione extraconiugale dal quale era nato un figlio, morto a 45 anni. Oggi papà ha 94 anni e mi occupo di lui. Mia madre non riesco ad andare a trovarla al cimitero”.
“Non ho paura di niente, le violenze mi hanno dato forza di andare contro le avversità”
Le conseguenze di quegli anni di terrore e violenza se le porta ancora dietro. “Non ho paura di niente – ammette – le violenze mi hanno dato forza di andare contro le avversità: l’aggressività che ogni tanto esprimo è frutto di quello. Quando sono rimasta incinta non sapevo che mamma sarei stata: ricordo un senso di perplessità. Poi sono stata una buona madre”. Per sfuggire all’inferno familiare, Paola Ferrari è andata via di casa. “Sono andata a vivere da mia zia a Busto Arsizio – ricorda – Ho dovuto interrompere gli studi a 15 anni e ho iniziato a mantenermi. Un giorno un amico mi ha invitata tra il pubblico di ‘Telealtomilanese’. Il regista mi fece un primo piano e venni notata da Enzo Tortora: avevo 16 anni. Per me è stato un secondo padre. Mi venne a cercare in tutta Busto Arsizio e disse che avrebbe voluto portarmi in Rai, stava per partire ‘Portobello’. Mi dava del lei: ‘Mi chiami’. Il numero era quello della sorella: ci teneva a farmi sentire al sicuro, senza doppi fini. Gli telefonai e iniziai a lavorare in trasmissione, ero una centralinista”.
“Non aver completato le scuole è stato un handicap per lungo tempo: ho fatto tanta gavetta”
La giornalista ricorda il primo incontro con il mondo del calcio. “A Telenova e poi Telelombardia, dove ho ricordi stupendi – svela – mi notarono Sandro Mazzola e Tito Stagno, che mi chiamarono a collaborare per i Mondiali del 1990. Entrai in Rai. Mi dicevano che non ero mai banale nel mio lavoro. All’epoca non esistevano donne che si occupavano di calcio: c’era Rosanna Marani della ‘Gazzetta dello Sport’ e mi piace ricordarla”. “Non aver completato le scuole è stato un handicap per lungo tempo – ammette -. Ho sostenuto un esame di cultura generale per completare due anni di liceo: solo così ho potuto fare l’esame da professionista. E poi tanta gavetta”. Paola Ferrari racconta i primi anni di professione a Milano: “Ho vissuto sette vite: dagli anni di Piombo all’edonismo degli Ottanta, con i concerti di Prince, locali come il Nephenta, l’arrivo delle modelle americane che portavano via i fidanzati alle milanesi. Terry Broome la conoscevamo tutti, i locali chiudevano alle due di notte e allora si andava a casa di qualcuno”.
“Non credo che mio suocero facesse il tifo per me, pensava fossi una delle tante”
Paola Ferrari è sposata con Marco De Benedetti. “L’ho conosciuto perché ci ha presentati Alba Parietti, che è una delle mie migliori amiche. Mi ha costretta ad accompagnarla a una cena dove c’era anche lui: non volevo andare, mi ha tirata fuori dalla vasca da bagno. Mi ero appena sfidanzata: un legame di otto anni con uno apparentemente perfetto. Di notte lo guardavo mentre dormiva e dicevo ‘non è lui’. Le persone per capirle le devi guardare mentre dormono”. Tornando a Marco De Benedetti racconta: “Dopo quattro mesi mi ha chiesto di sposarlo. Si è dato molto da fare per conquistarmi, aiutato anche dalla mamma Mita, che era un’amica di Alba e poi è diventata anche amica mia. Lo metteva al corrente dei pranzi ai quali partecipavo e lui passava per il caffè…”. E il suocero? “Non credo facesse il tifo per me. All’inizio pensava che fossi una delle tante, che me ne sarei andata in fretta. Quando ha capito che potevo restare non è stato molto carino, mi ha lanciato più frecciatine”.
“Mi attribuiscono spesso fidanzati, in realtà con Marco siamo molto uniti”
Le presentazioni in casa De Benedetti le ricorda bene: “E’ stato in montagna, in una casa stupenda accolta da camerieri in guanti bianchi. Io che arrivavo da un contesto diverso ero colpita, ma quel mondo non mi ha cambiata. A Marco ho detto subito che con me si poteva scordare le cene di rappresentanza: a casa invito solo gli amici”. “A fare la ‘signora’ si impara con grande facilità – ammette – ne ho viste tante che dopo un mese, con una scusa, hanno smesso di lavorare. Ho fatto tanti anni timbrando il cartellino, ma non mi sento più brava, ho fatto solo quello che volevo”. La coppia è sposata da 28 anni. “Sono sanguigna, mi arrabbio, sbraito – rivela – gli faccio fare delle figuracce. Però con me Marco non si annoia mai. Se lo vedo sul divano un po’ apatico lo stuzzico con qualche battuta. Sono come un filetto in crosta: ho un esterno duro e un interno tenero”.
“Mi attribuiscono spesso fidanzati, in realtà con Marco siamo molto uniti – aggiunge-. Anche lui è ambito: ieri sera a cena c’era una che lo puntava. Se vuole glielo presto per un anno, poi però me lo riprendo!”.
“Non vorrei mai che mia figlia Virginia fosse come Diletta Leotta”
Paola Ferrari ha sempre avuto un rapporto molto conflittuale con il suocero Carlo De Benedetti, noto imprenditore, editore e giornalista. L’ultimo episodio riguardava Giorgia Meloni: “Mi è dispiaciuto che usasse certi toni verso una donna e una politica che sostengo da anni e non solo ora che è Presidente del Consiglio. La pensiamo diversamente su tante cose, ma mentre io adoro il confronto lui è abituato ad avere il mondo dalla sua parte. Lo stimo e gli voglio bene, ma abbiamo perso un’occasione: aveva in famiglia una donna diversa, con cui discutere”. Paola Ferrari si è sempre dichiarata dalla parte delle donne, anche se spesso si mostra polemica come nei riguardi di Diletta Leotta. “È molto brava e porta introiti pubblicitari – dice di lei – Però se mi chiede se vorrei che mia figlia Virginia fosse come lei, allora le rispondo di no. Oggi va di moda rivendicare la propria libertà mostrandosi senza vestiti: il tempo di Mary Quant è passato. Nobilitare il nudo con il femminismo mi pare una meschinità: una volta non volevamo sembrare belle ma brave, ora vogliono essere prima di tutto belle, è un passo indietro”.
Un’altra donna dello spettacolo, Melissa Satta, le ha dato della “rosicona”. “Mi è spiaciuto – ammette – quando ho commentato il suo gesto di togliersi la giacca in trasmissione, era contro le battute maschili che ne sono seguite. Lei ha pensato che ce l’avessi con lei. Non sono invidiosa, piuttosto sono stata invidiata”.
“Sono una donna Rai, amo la mia azienda e non cambierei mai”
Paola Ferrari ammette di non essersi mai sentita la “moglie di” e racconta un aneddoto: “Una volta all’ambasciata italiana a Washington mi sono presentata a Mario Draghi dicendogli: ‘Sono la moglie di Marco De Benedetti’. Lui mi ha risposto: ‘Sarà lui che è suo marito’! Se hai un uomo importante devi lavorare il triplo, per dimostrare che vali. Più volte Marco mi ha chiesto di lasciare la Rai, era certo che avrei sofferto e subito ingiustizie. Sono una donna Rai, amo la mia azienda e anche se è una realtà spigolosa sono fiera di farne parte: non cambierei mai. Ma piacerebbe cimentarmi sull’infotainment. E mi dispiace quando dicono che devono svecchiare e poi mettono un uomo della mia età”.
Dell’addio di Amadeus alla Rai dice: “Ho iniziato a lavorare con lui a Radio Deejay, dove Cecchetto mi aveva affidato i notiziari. Penso che davvero lui abbia fatto una scelta di vita”. Per il futuro spera di “continuare a realizzare i documentari che produco per Lucisano Film, di cui sono socia. Ne ho fatto uno anche su Charles Bukowski”.
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“Con Silvio Berlusconi ci siamo sempre rispettati e mi manca”
Di Alba Parietti artefice del suo incontro con il marito dice: “E’ ancora oggi una delle mie amiche più care. Una selvaggia. Se c’è bisogno corro. E lei anche”. Poi svela il nome del suo corteggiatore più famoso: “Silvio Berlusconi. L’ho conosciuto a 20 anni a Telemilano. È iniziata una frequentazione platonica, la sua segretaria mi aveva avvisato che stava uscendo anche con Veronica. Durante una cena nella casa di via Rovani con Montanelli, mi sfilò dai capelli il fermaglio di finta madreperla. ‘La mia donna non deve indossare nulla di falso’, disse. Ero ferita, decisi di non vederlo più. Ci siamo sempre rispettati e mi manca. Pochi anni fa mi disse: ‘Paola ho saputo che tuo suocero mi vorrebbe vedere morto’. Non se ne faceva una ragione. Ho fatto di tutto perché i due vecchi leoni potessero bere un caffè. È una di quelle cose che rimprovero a mio suocero, di non averci almeno provato”.