Le conquiste tecnologiche in un continuo crescendo e perfezionamento, sembrano oggi aver sostituito antiche aspirazioni religiose al centro delle quali oggi regna il panopticon: l’occhio del grande fratello che determina, comanda e condiziona. Ma se nel progetto originario il panopticon (“che fa vedere tutto”) era rappresentato da un punto di osservazione posto al centro di un’area circolare all’interno di un carcere dal quale era possibile controllare i prigionieri in ogni momento, oggi il panopticon si struttura e si estende attraverso una rete composta da milioni di telecamere dai mille occhi puntati su tutto il pianeta.
L’avviso è: attenzione tutti a come agite, a come pensate e a come comunicate. Le telecamere dei negozi, dei supermercati, delle banche, sono puntati su di noi e siamo seguiti persino in strada, grazie a un circuito a cielo aperto che spazza via ogni forma di privacy. E’ l’occhio del grande fratello che veglia dunque su di noi, violando ogni forma di libertà personale; ma stavolta non si tratta di un programma televisivo, è la nostra vita ad essere diventata sotto i riflettori di tutti. Basta possedere anche uno smartphone dotato di ricevitore Gps e siamo entrati nel giro.
Il Gps ormai si sa, è un sistema di posizionamento e navigazione che, attraverso una rete satellitare ricevitore fornisce informazioni sulle sue coordinate geografiche e corrispondenze orarie localizzate, tramite la trasmissione di un segnale radio da parte di un satellite, il che risulta utile per indagini investigative e quant’altro. La diffusione dei cellulari, diventati microspie negli ultimi anni, ha permesso alle indagini giudiziarie di fare largo uso dell’analisi forense sia degli stessi terminali, sia delle tracce che questi lasciano nelle reti degli operatori telefonici. E’ possibile dunque localizzare una persona tramite le ‘celle telefoniche’ che consentono di conoscere con certezza l’area, dunque la stazione base, cui il terminale era connesso mentre stava ricevendo/trasmettendo dati (sms e telefonate).
L’idea è quella di essere continuamente localizzati se si ricevono o si fanno chiamate. Stessa cosa vale per i messaggi, divenuti, ci verrebbe da dire, segnali di fumo in grado di indicare il luogo in cui siamo e svelare la traccia dei nostri percorsi. Questo compito, negli ultimi anni e con i progressi della tecnologia è spettato anche anche a uno dei social network più cliccato degli ultimi tempi: facebook. A Mark Zuckerberg si deve la creazione di questa rete sociale lanciata nel febbraio del 2004, originariamente progettata esclusivamente per gli studenti dell’Università di Harvard, e poi presto aperta anche agli studenti di altre scuole della zona di Boston, della Ivy League e della Stanford University. Successivamente fu aperto anche agli studenti delle scuole superiori e poi a chiunque dichiarasse più di 13 anni di età.
Da allora Facebook raggiunse un enorme successo, diventando il secondo sito più visitato al mondo, preceduto solo da Google. Il nome “Facebook” prende spunto da un elenco con nome e fotografia degli studenti, che alcune università statunitensi distribuiscono all’inizio dell’anno accademico per aiutare gli iscritti a socializzare tra loro. In poco tempo prende il via diventando un efficace strumento mediatico in cui gli studenti si riunivano in comunità virtuali creando gruppi d’interesse in cui poter chattare. Ma si sa… come dice il detto ‘la strada per l’inferno è lastricata da buone intenzioni…’ e anche l’utilizzo di questo social network è stato stravolto, portandolo a mutare la sua iniziale ‘destinazione d’uso’.
Quest’affermazione vale per coloro che ne fanno abuso e si accostano al mondo virtuale con intenzioni poco rassicuranti. Ciò dipende soprattutto dall’utilizzo che un soggetto ne fa e soprattutto dal tempo che trascorre navigando tra le ‘vie infinite di facebook’, divenuto non più un semplice strumento di trasmissione e ricezione di messaggi, ma una ‘macchina di controllo’. Si pensi che già nel 2010 gli utenti, oltre a scrivere semplici post in bacheca, potevano comunicare ora, posizione e luogo in cui si trovavano, e persino con chi erano. Dunque essere facilmente rintracciabili e localizzabili da chiunque. Successivamente, Facebook attivò anche l’opzione di ‘riconoscimento facciale’ delle immagini pubblicate dagli utenti, violando la loro privacy e ogni forma di libertà personale. Centinaia di milioni di persone, sono state coinvolte a loro insaputa e senza che facebook li preavvisasse, in un massiccio processo di etichettamento delle loro immagini: tutti schedati e passati al setaccio dunque, come se si trattasse di un ‘confronto all’americana’.
Ogni foto messa online, ogni aggiornamento del proprio stato, post o blog rimangono nell’archivio permanente del web, e se entri a far parte del gioco, difficilmente potrai tornare indietro: le immagini di tutti coloro che sono iscritti, infatti, rimangono proprietà di internet e la cancellazione non è definitiva. Come se non bastasse, i social network sono diventati la nostra scheda di presentazione, si sono sostituiti ai nostri curriculum vitae, tant’è che le nostre referenze vengono individuate attraverso un’analisi della nostra identità mediatica, ‘sfogliando’ le bacheche degli utenti. Secondo un’indagine condotta dalla Microsoft negli Stati Uniti, il 75% delle aziende fa ricerche online sui candidati, setacciando tutte le possibili fonti che possono rivelare qualsiasi tipo d’informazione: orientamento politico, credo religioso, abitudini, preferenze sessuali.
Il 70% di queste aziende ha confermato di aver respinto potenziali candidati per aver trovato conversazioni su bacheche, appartenenze a gruppi o semplicemente foto che non erano gradite. E da questi risultati, trarne conclusioni sulla personalità e la preparazione di quel soggetto. Nell’enorme occhio che ci guarda, le distanze spazio-temporali vengono superate e gestite da chi entra in questo circuito di comunicazione planetaria, in un’incessante aspirazione alla condivisione, all’evidenziazione della propria esistenza e al superamento delle proprie insicurezze. Nell’amalgama e nel livellamento delle identità, il sistema risponde e ne appaga il realistico e inconscio anelito verso un dio guida e all’immortalità. Questo processo se da un lato appaga la voglia di non sentirsi solo, dall’altro lato espone ad una continua violazione della propria privacy.