Grave lutto per Can Yaman. L’attore turco ha interrotto le vacanze in Sardegna ed è tornato nel suo Paese per stringersi alla sua famiglia colpita da una dolorosa perdita. Si è spento infatti a Istanbul Reşat Yama, nonno paterno dell’interprete della fiction “Viola come il mare”. Lo scorso 19 agosto Can Yaman ha partecipato ai funerali del nonno nella moschea di Suadiye. Quindi ha condiviso sui social una foto che lo ritrae con i genitori. “È davvero prezioso avere una famiglia sempre sorridente, nonostante tutto”, recita la caption. Güven Yaman, padre del divo turco ha origini albanesi-kosovare. Mamma Güldem Hanim, invece, ha origini albanesi-macedoni ed è una professoressa di lettere.
Il rapporto con le nonne e le borse di studio
“Quando sono nato io, i miei genitori non erano molto agiati, avevano avuto delle difficoltà, quindi ci ha aiutati mia nonna – ha raccontato Can Yaman in un’intervista a “Verissimo” – I primi tre anni si è presa cura di me la nonna. Poi mia mamma ha cominciato a lavorare fuori città e allora si è presa cura di me l’altra nonna. Quando avevo dieci anni, mio padre ha cominciato a guadagnare bene e per quattro anni siamo stati bene. Quando avevo 14 anni però il lavoro di mio padre è andato male e abbiamo avuto delle difficoltà. Se ho continuato a studiare è stato solo grazie alle borse di studio”.
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“A scuola ero il migliore, la mia media resta il record”
Can Yaman parla cinque lingue, ha frequentato il liceo scientifico in italiano e a scuola era un secchione. “Il lavoro di mio papà andava sempre peggio. Mi sentivo così incastrato da cercare una via di scampo e l’educazione era questo – ha spiegato al “Corriere della Sera” – Migliorarmi era l’unica via di fuga. I miei mi dicevano che avrebbero potuto spostarmi in un’altra scuola per via dei costi e questo mi ha incentivato: ho concluso il percorso primeggiando, ero il migliore della scuola. La mia media, 92,57 su cento, resta il record. Non mi hanno mai superato”.
“Il mestiere di avvocato non faceva per me, mi ha deluso”
Can Yaman sembrava destinato ad un futuro da avvocato ma presto ha compreso che non era quella la sua strada. “Studiare Giurisprudenza è stata un’idea di mio padre – ha confessato – ma mi ha convinto in cinque minuti. Per lui conoscere le regole significava aprirmi ogni porta, strutturarmi. Quanto ai progetti, si dice che Dio ti ride in faccia quando li hai. Quando ho iniziato a lavorare come avvocato ho capito che la pratica è diversa dalla teoria e questo mi ha deluso. Non era il lavoro giusto per il mio carattere: io sono uno che evita i problemi, non uno che li risolve. E mi piace farmi i fatti miei, non quelli degli altri. Tanto meno litigare. Fare l’attore è più da me”.