Si intitola “Tre ciotole” il nuovo romanzo di Michela Murgia. Un libro intenso scritto in tre mesi in cui la scrittrice confessa di avere un carcinoma renale al quarto stadio inoperabile e di avere pochi mesi di vita. “Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello”, confida in un’intervista al “Corriere della Sera” che è un vero e proprio pugno allo stomaco. Michela Murgia dice di non riconoscersi nel “registro bellico” con cui si tende ad affrontare un tumore. “Parole come lotta, guerra, trincea… Il cancro è una malattia molto gentile – spiega – Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno”. “Mi sto curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci – racconta – Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti”.
“La guerra presuppone sconfitti e vincitori, io conosco già la fine della storia”
“Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono – afferma la scrittrice – Me l’ha spiegato bene il medico che mi segue, un genio. Gli organismi monocellulari non hanno neoplasie; ma non scrivono romanzi, non imparano le lingue, non studiano il coreano. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto, o l’alieno”. “Ognuno reagisce alla sua maniera e io rispetto tutti – aggiunge – Ma definirlo così sarebbe come sentirsi posseduta da un demone. E allora non servirebbe una cura, ma un esorcismo. Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente. La guerra vera è quella in Ucraina. Non posso avere Putin e Zelensky dentro di me. Non avrei mai trovato le energie per scrivere questo libro in tre mesi”.
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““Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho ricordi preziosi”
C’è chi ritiene che la morte sia un’ingiustizia. Michela Murgia la pensa diversamente. “Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite – confessa – Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi. Ho consegnato cartelle esattoriali. Ho insegnato per sei anni religione. Ho diretto il reparto amministrativo di una centrale termoelettrica. Ho portato piatti in tavola. Ho venduto multiproprietà. Ho fatto la portiera notturna in un hotel…”. Da due anni studia il coreano. “Volevo anche andare in Corea, ma le mie condizioni per ora non lo consentono – svela – Tutto nasce da una passione per il k-pop e per i Bts, una musica e un gruppo che mi danno grandissima gioia. Ho iniziato a studiare il coreano per capire i testi. Poi mi sono resa conto che la vera ragione era un’altra (…) Forse ci andrò quando disperderanno le mie ceneri nell’oceano, a Busan”.
“Stavolta il cancro è partito dal rene ma per il Covid ho trascurato i controlli”
Nel 2014 mentre era candidata alla presidenza della Sardegna, Michela Murgia scoprì di avere un tumore. “A un polmone – racconta – Tossivo. Feci un controllo. Era a uno stadio precocissimo, lo riconoscemmo subito. Una botta di cu*o. Però ero in campagna elettorale. Quella volta non potei dire che ero malata. Gli avversari mi avrebbero accusata di speculare sul dolore; i sostenitori non avrebbero visto in me la forza che cercavano. Dovetti nascondere il male, farmi operare altrove. Non respiravo più. Mi hanno tolto cinque litri d’acqua dal polmone. Stavolta il cancro era partito dal rene. Ma a causa del Covid avevo trascurato i controlli”.
“Io non sono sola. Ho dieci persone. La mia queer family”
“Nel giugno scorso ho compiuto cinquant’anni e ho appeso alle querce cinquanta vestiti – confida Michela Murgia – In questo tempo ho avuto modo di preparare tutto. Scrivere un alfabeto dell’addio. Predisporre un percorso collettivo. Tanti dicono di voler morire all’improvviso, nel sonno, senza accorgersene. Ora ho capito perché mia nonna da piccola mi faceva recitare una preghiera contro la morte improvvisa. Il dolore non si può cancellare; il trauma sì. Si può gestire. Hai bisogno di tempo per abituare te stessa e le persone a te vicine al transito. Un tempo per pensare come salutare chi ami, e come vorresti che ti salutasse. Io non sono sola. Ho dieci persone. La mia queer family. Un nucleo familiare atipico, in cui le relazioni contano più dei ruoli. Parole come compagno, figlio, fratello non bastano a spiegarla. Non ho mai creduto nella coppia, l’ho sempre considerata una relazione insufficiente. Lasciai un uomo dopo che mi disse che sognava di invecchiare con me in Svizzera in una villa sul lago. Una prospettiva tremenda”. Quelli che hanno creduto o credono nella coppia, a suo dire, “finiscono per vivere di tradimenti e di bugie. Che diventano il loro segreto, e la loro vergogna”.
“Ho comprato casa, con dieci posti letto. E ora mi sposo”
Michela Murgia ha predisposto tutto e la morte non la troverà impreparata. “Ho comprato casa, con dieci posti letto, dove stare tutti insieme – racconta – mi è spiaciuto solo che mi abbiano negato il mutuo in quanto malata. Ho fatto tutto quello che volevo. E ora mi sposo. Lo Stato alla fine vorrà un nome legale che prenda le decisioni, ma non mi sto sposando solo per consentire a una persona di decidere per me. Amo e sono amata, i ruoli sono maschere che si assumono quando servono. Sposo un uomo, ma poteva essere una donna. Nel prenderci cura gli uni degli altri non abbiamo mai fatto questione di genere”. La conversazione si sposta sull’eutanasia. “Posso sopportare molto dolore, ma non di non essere presente a me stessa – confessa – Chi mi vuole bene sa cosa deve fare. Sono sempre stata vicina ai radicali, a Marco Cappato”.
“La maternità ha tante forme, io ho quattro figli d’anima”
La scrittrice non ha figli ma si definisce “madre dell’anima” di quattro ragazzi. “Il più grande ha 35 anni, il più piccolo venti – rivela – Tutti maschi, ma è un caso. Uno fa il cantante lirico, uno studia economia anche se speravamo facesse lettere, uno insegna a Yale, l’altro lavora in un grande gruppo della moda. La filiazione d’anima in Sardegna esiste da sempre, anch’io ho avuto due madri e due padri di fatto. È insensato dire che di madre ce n’è una sola, una condanna per la donna e anche per chi le è figlio. La maternità ha tante forme”. “I bambini rompono i cogl*oni. Tutti i bambini – sentenzia – Non è vero quel che dicono, che i figli sono maleducati per colpa dei genitori; prima o poi un bambino anche educatissimo piangerà, si lamenterà, disturberà, sconvolgerà il vagone del treno su cui viaggio, prenderà a calci il sedile su cui sono seduta in aereo… Non amo i bambini, ma sono predisposta ad accompagnare gli adolescenti”.
“Prego Dio di far accettare alle persone che mi amano quello che accadrà”
La scrittrice crede in Dio: “L’ho pregato e lo prego di far accettare alle persone che mi amano quello che accadrà. Come immagino l’Aldilà? Non un luogo, ma uno stato sentimentale. Dio è una relazione. Non penso che la vita dopo la morte sia tanto diversa. Vivrò relazioni non molto differenti da quelle che vivo qui, dove la comunione è fortissima. Nell’Aldilà sarà una comunione continua, senza intervalli (…) Sarà il passaggio dal ‘non ancora’ al ‘già’”. Michela Murgia non ha paura della morte. “Spero solo di morire quando Giorgia Meloni non sarà più presidente del Consiglio – fa sapere – Perché il suo è un governo fascista. Qual è il confine del fascismo? La violenza? La bastonata? Imporre con una circolare che il figlio di due madri sia di una madre sola non è forse violenza? Crede che a una famiglia faccia meno male di una bastonata?”.
“Non importa quanto tempo ho, l’importante per me è non morire fascista”
“Come vorrei essere ricordata? Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno – conclude – Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista”.