Mauro Corona ha rilasciato un’intervista al “Corriere della Sera”. L’alpinista-scrittore mette subito le mani avanti: “Sono una m…, vittima dell’impulsività. Colpa delle botte che mi ha dato mio padre quando ero piccolo”. Poi parla delle sue ultime avventure: “Sono stato in Val di Zoldo, a ciaspolare. Ho aperto 300 vie sulle Dolomiti. Mettevo la mano sulla roccia e dicevo: dalla creazione del mondo nessuno l’ha mai toccata prima di me”. Niente male per la sua età: “Saranno 74 il 9 agosto. Stesso giorno di Romano Prodi. E di Enzo Biagi: a Cortina festeggiammo il nostro compleanno con un bianco, non prosecco, è da prima comunione. Da giovane, bevevo superalcolici, whisky e rum. Grappa durante la naia. Oggi non li reggo più”.
Della sua infanzia ricorda: “Fui partorito a Baselga di Piné sul carretto dei miei, venditori ambulanti friulani. A piedi, andavano a piazzare mestoli e ciotole in legno fino a Genova, porta a porta. Mi sento anche veneto. Appartengo alla natura. Mi aderisce come una garza. Walt Whitman, poeta, diceva: ‘Conosco il metodo per fare gli uomini migliori: vivere all’aria aperta, mangiare e dormire con la terra’”.
“Mio padre mandò in coma mia madre tre volte. Finché lei scappò di casa. Io avevo 6 anni”
La sua infanzia è stata molto dura. Lo scrittore condivide un ricordo amaro sul padre: “Mandò in coma mia madre tre volte. Finché lei scappò di casa. Avevo 6 anni, mio fratello 5, l’ultimo nato quattro mesi. La rividi che ero tredicenne. La picchiava per Gelosia, vino. Se la brutalità orrenda di mio padre mi ha insegnato qualcosa, è di non alzare mai le mani. Sì, qualche litigata quando stavo con mia moglie, ma erano più le pignatte in testa che buscavo io”. Riguardo alla piaga dei femminicidi, dichiara che darebbe in pasto gli autori ai parenti delle vittime. “Una provocazione – precisa – Siccome agli assassini viene sempre riconosciuta l’infermità mentale, li chiuderei in una stanza con i genitori della donna uccisa. Legati, però”.
“Dopo la lite con Bianca Berlinguer mi fece fuori Franco Di Mare. Si professava amico mio”
Mauro Corona torna sui litigi con Bianca Berlinguer e ricorda la volta in cui le disse: “Stia zitta una buona volta, gallina”. “Fu un malinteso – tiene a precisare – Volevo chiedere scusa a un albergatore di Bagno Vignoni. Lei la scambiò per una marchetta. Quella sera avevo bevuto. Penso di aver pagato. Mi fece fuori Franco Di Mare, direttore di Rai 3. Si professava amico mio. Conservo i suoi sms mielosi: ‘È solo una piccola pausa’. Tornai a Cartabianca grazie al nuovo ad, Carlo Fuortes”. Lo scrittore però ammette: “Potrei vivere anche senza la tv. Cammino, scrivo, scalo, scolpisco. Sono il Don Chisciotte del Nordest. Don Chisciotte vinceva sempre perché perdeva. Sono quelli che temono d’essere privati della poltroncina a fare i perbenisti e i buonisti. Non dicono le parolacce per non perdere il posto in tv e quindi la visibilità. Io non recito la parte del fighetto intellettuale, anche se ho letto pile di libri. Più di tutti loro”.
“Perché funziono in tv? Non per capacità mia: per la curiosità dello spettatore – dice -. La Bianchina ha capito subito che sono un tipo picaresco e mi ha fatto un contrattino”. Si dice che l’opinionista guadagni da 500 a 1.500 euro a puntata. “Seee, 1.500 se li attaccano in quel posto! – risponde -. Non mi servono i soldi. Vado lì per dare la voce a chi non ce l’ha. E anche un po’ per vanità, non lo nego”.
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“Da piccolo ho sofferto la fame, mia nonna mi mandava nelle case a chiedere l’elemosina”
Ripensando all’infanzia, lo scrittore ammette: “Ho sofferto la fame da bambino. Avevamo solo una capra e una mucca. Il poco cibo era tenuto sotto chiave. Allora con mia nonna, che aveva già più di 80 anni, andavamo a piedi da Erto a Cellino. Mi mandava nelle case a chiedere l’elemosina. Io mi vergognavo. Il pellegrinaggio del bisogno mi ha formato più delle scalate”. Mauro Corona è stato processato quindici volte. “Per bracconaggio – spiega -. Camosci e caprioli erano la macelleria dietro casa. Alle bande musicali del Tirolo vendevo le code a forma di lira dei galli forcelli: le mettevano sui cappelli. Oggi non vado più a caccia, sono diventato animalista. Vivo con il cane Kurt, perché è corto, e il gatto Dalton, dal nome dei fuorilegge ottocenteschi del Missouri. Sono un caratteraccio, anche un po’ vile. Ho bisogno di confessarmi con gente che non mi giudichi. Quando rincaso alticcio, Kurt e Dalton mi osservano in un modo diverso. Avverto che mi capiscono”.
In tv, si scopre, guarda “solo sport sui canali satellitari. E Geo”.”Mi piace Maurizio Crozza. La sua imitazione è perfetta. Gli amici mi chiedono: ‘Perché non lo denunci?’. Sono pazzi. Non infierisce e mi fa più pubblicità della Bianchina”, scherza.
“L’ultima barba me la feci quand’ero alpino a Tarvisio”
Mauro Corona vive a Erto e non si rade da molti anni: “L’ultima barba me la feci quand’ero alpino a Tarvisio”. Vincenzo De Luca lo definì “Neanderthal, troglodita vestito come un capraio afghano, cammelliere yemenita”. “Offese i caprai afghani, gente nobile. Il governatore della Campania mi piace da matti – ammette – Starei ore a sentirlo. Se gli danno un programma tv, sfianca tutti i conduttori”. Della tragedia del Vajont ricorda: “Il rumore. Mai sentito scaricare un cassone di ghiaia? Insopportabile. Ecco, pensi a 300 milioni di metri cubi di ghiaia caduti in 20 secondi”. Riguardo al progetto di rimettere l’acqua nell’invaso dice: “C’è il dovere del rispetto verso i 1.910 morti. Mia suocera perse 14 familiari: genitori, fratelli, sorelle, nipotini. Ma c’è anche penuria di energia pulita. So di scavarmi la fossa, però opterei per un parziale ripristino della diga”.
“La felicità è quando i miei figli che hanno problemi di salute mi dicono che va tutto bene”
Nell’intervista, Mauro Corona accenna anche alla politica: “Per chi voto? Avevo la tessera di Rifondazione comunista. Mi astengo da 20 anni, non mi sento rappresentato. Vado alle urne solo per eleggere il sindaco. Amo Pier Luigi Bersani. Tornerei a fidarmi di Prodi, ma lo ha ucciso il fuoco amico”. Mauro Corona parla di Fabrizio Corona con cui ha in comune il cognome: “Gli mandai in carcere una ventina di libri scritti da me. Non ne lesse neppure uno. Lo seppi da un detenuto sardo”. Ripensando alla sua vita e alla sua condotta dice: “I peccati se li è inventati la Chiesa. Esistono solo gli errori. I miei non sono gravi: furti di legna e caccia di frodo. Due dei miei quattro figli hanno avuto guai di salute. La felicità è quando tornano dai controlli periodici e mi dicono: ‘Tutto bene, papà’”.