29 Marzo 2022, 13:24
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Andrea Pamparana, già fondatore del Tg5 di cui è stato vicedirettore, ha avuto il NET, lo stesso tumore neuroendocrino che ha colpito Fedez. E’ lui stesso a svelarlo in un’intervista a “Vanity Fair”. Il giornalista e scrittore, 69 anni, è testimonial di NET Italy Onlus, l’associazione che dal 2012 si occupa di fare una corretta informazione su questo tipo di cancro. A salvarlo è stata la sua ipocondria che ha fatto sì che pensasse che dietro quel mal di pancia che accusava da qualche giorno si nascondesse un problema grave. Pamparana aveva ragione.
“Era il 26 dicembre del 2016 – ricorda – Da qualche giorno avevo un fastidio alla schiena e avvertivo alla pancia un dolore fisso, che non passava. Chiamai una dottoressa che conoscevo che mi consigliò di non prendere un antidolorifico e di andare al Pronto Soccorso. Io devo tantissimo a questa dottoressa che mi ha esortato a sopportare ancora un po’. Se avessi eliminato il dolore senza però risolvere a monte, in qualche mese quella massa tumorale magari sarebbe diventata più grande o si sarebbe diffusa diversamente, senza limitarsi all’intestino come nel mio caso. Il NET, come tutti i tumori, prima lo scopri, meglio è”.
“Facevo fatica a stare seduto, non trovavo mai la posizione, dormivo male – racconta – E poi stava durando da troppo tempo. A un certo punto non ce la facevo più. Io sono stato attento, mi sono ascoltato. Per quello dico che essere un po’ ipocondriaco mi ha salvato. A volte quelli come me fanno la figura dei rompiscatole ma è anche vero che ci si salva. Più che ipocondria, parlerei di prevenzione”. “Mi fecero tutte le analisi del caso – prosegue – Oggi abbiamo strumenti diagnostici straordinari. La mattina dopo mi dissero che erano necessari ulteriori accertamenti ma il medico del Pronto Soccorso aveva subito sospettato che si trattasse di un tumore neuroendocrino. Dopo la biopsia, la diagnosi: si trattava di un carcinoide, che è altra cosa rispetto al carcinoma, ben differenziato. In buona sostanza era stato preso nella sua fase iniziale”.
“Sono stato operato nel febbraio del 2017: mi hanno tolto un pezzo di colon e una piccola metastasi in un linfonodo – spiega – Dopo l’intervento abbiamo studiato una terapia. Faccio un’iniezione una volta al mese di un farmaco che impedisce, o quanto meno rallenta, la formazione di altri tumori neuroendocrini. E ovviamente faccio controlli periodici e una volta all’anno mi sottopongo a una PET con Gallio, un esame specifico che serve per vedere se ci sono altri NET. Ovviamente (nell’attesa, ndr.) c’è sempre un po’ di tensione ma finora è sempre andato tutto bene. Mi preme sottolinearlo: la mia vita è assolutamente normale, faccio attività sportiva, scrivo libri e curo le mie rubriche e mangio tutto senza problemi”.
“Il professore che mi ha operato mi disse che il mio tumore era proprio uno stron*etto – confida – Io gli risposi che con gli stron*i ci sono solo due modi di comportarsi: o te li fai amici e te li intorti oppure ti inca*zi, cosa che non fa mai bene. Quando ne parlo lo chiamo proprio il mio amico stron*etto (…) Il paziente deve avere un quadro chiaro di come funziona il percorso, chi fa che cosa, perché sennò uno parte con l’immaginazione o, peggio ancora, si affida a Google. Noi dobbiamo avere fiducia nei nostri medici. E nella scienza. Poi, ovvio, si deve avere un po’ di fortuna. L’importante è affidarsi a centri specializzati”.
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Pamparana ricorda l’insegnamento ricevuto da Umberto Veronesi tanti anni fa: “Era il 1980 e stavo realizzando un documentario per l’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro. Quando presentai il progetto al professore, lui si raccomandò di due cose. ‘Si ricordi in quella che sarà tutta la sua vita professionale di non usare mai questi termini: brutto male e male incurabile’. Mi disse che se in quel momento mi avesse dato una martellata sul dito, quel male non sarebbe stato né brutto né bello, sarebbe stato semplicemente un male. Poi è sbagliato definire una malattia incurabile, ogni malattia progredisce in modo diverso. Della nostra vita conosciamo l’inizio ma non sappiamo come può andare a finire”.
“Come ho vissuto l’annuncio di Fedez? Ho visto le sue foto, lui abbracciato alla moglie e la ferita sulla pancia, tale e quale alla mia. Ho pensato a quanto fosse importante mostrarsi così, anche per un discorso di sensibilità – dice – Negli ultimi vent’anni la ricerca ha fatto dei passi da gigante, ci sono cure nuove, farmaci e strumenti per la diagnosi. È vero, il tumore fa più paura di altre malattie ma oggi si può affrontare”.
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