In un’intervista al quotidiano “La Repubblica”, la giornalista Rai Laura Aprati racconta la sua battaglia contro l’alopecia aerata totale, una malattia autoimmune di cui non si conosce ancora l’origine. Di questa patologia soffrono 147 milioni di persone nel mondo. “Mi sono alzata una mattina e non avevo più un capello in testa – svela – Mi sono guardata allo specchio e non mi sono riconosciuta: ‘Chi è questa persona?’, ‘Cosa mi è successo?’.
Nell’arco di tre giorni non avevo più un pelo su tutto il corpo: né ciglia e sopracciglia. Uno shock. Da quel momento nulla è stato più come prima. Per quanto drammatico e doloroso, quando ti diagnosticano il cancro sai già quali potranno essere gli effetti collaterali della chemioterapia e hai il tempo per prepararti psicologicamente alla caduta dei capelli. Ma io non sapevo niente, ero spaesata, e anche i medici a cui mi rivolgevo erano perplessi. Mi chiamo Laura Aprati e per la prima volta ho deciso di metterci la faccia, di far sentire la mia voce attraverso questa mia testimonianza, e raccontare quello che mi è capitato e che ho tenuto per me per tanto tempo”.
“Quando è successo avevo appena ripreso a lavorare dopo oltre un anno senza un contratto”
“La mia alopecia è stata la conseguenza di una fibromialgia, una malattia reumatica che colpisce l’apparato muscolo-scheletrico – spiega Laura Aprati – ma è stata la calvizie a pesarmi di più dal punto di vista psicologico: devi andare a lavorare, partecipare alle riunioni, ma non sei più tu. L’aspetto esteriore è determinante nella relazione con gli altri, ancora di più se sei precaria: la malattia ti mette in un angolo. Quando è successo avevo appena ripreso a lavorare dopo oltre un anno senza un contratto. Non sapevo come avrebbero reagito i miei colleghi e i miei superiori, ma sapevo che non potevo permettermi di perdere il lavoro anche per potermi curare. Sono state queste considerazioni a farmi decidere di tacere, me la sarei vissuta da sola. Una scelta non facile ma necessaria”.
“Se hai un turbante in testa, chi ti guarda pensa subito che sei malata”
“Ho superato tante paure, temevo che la gente intorno a me se ne accorgesse – aggiunge – Ho rifiutato l’idea di un foulard perché se hai un turbante in testa, chi ti guarda pensa subito che sei malata e la nostra non è una società inclusiva per quanto siano stati fatti dei passi in avanti. Al lavoro, se hai una patologia, magari ti dicono ‘poverina’, ma c’è un retropensiero: ‘Chissà quanto dura la sua malattia, devo cercare un sostituto’, l’hanno chiesto anche a me. In quel periodo ero malata, devastata, e nessuno sapeva come curarmi. Abbiamo sperimentato, provato tante terapie, e sono stata fortunatissima, intorno avevo amici medici che mi hanno sostenuta e aiutata, ma gli altri? Penso ai tanti nelle mie condizioni che non hanno tutto questo supporto”.
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“In quel periodo non avevo un compagno, ero un lupo inferocito, arrabbiata con tutti”
“Dopo il primo shock, mi sono rinchiusa in casa – confessa la giornalista Rai – In quel periodo non avevo un compagno, ero un lupo inferocito, arrabbiata con tutti. Nell’arco di una settimana ho deciso di comprarmi una parrucca, così sono entrata in un mondo sconosciuto, quello del mercato dei capelli, un mercato terribile dove si lucra su debolezza e fragilità. Nel 2013, una parrucca adesiva poteva costare anche più di 2000 euro, e ce ne volevano due per la manutenzione. Erano insopportabili. Più di dieci anni dopo c’è stata un’evoluzione incredibile, allora dovevi mettere una colla e ogni mese togliere tutto per fare il ‘tagliando’. C’è una grande speculazione intorno alle parrucche (…) Sono una giornalista e il mio lavoro prevede anche di apparire in video, per cui mi sono ‘arrangiata’. In tv l’immagine è sostanziale. Lo so, c’è il caso di Silvia Motta, la conduttrice di Tv Talk che presenta serenamente con il turbante, ha l’alopecia come Jada Pinkett Smith, la moglie di Willy Smith, che in un’intervista ha parlato della difficoltà di accettazione della sua condizione”.
“Tra un paio di mesi potrò togliermi la parrucca e mi sono già ricresciute le ciglia”
“Ognuno affronta la malattia a modo suo, ma io mi sentivo fragile, non me la sentivo, così modificavo il mio look continuamente: portavo parrucche corte, poi ricce, mosse, lisce. Variare mi ha aiutato – confida Laura Aprati – E poi c’era il trucco: non si pensa a quanto sia difficile farlo quando non si hanno le ciglia. Si soffre di blefarite perché il sudore non trova barriere, la matita sbava. La mancanza di sopracciglia, invece, non è stata un problema, il tatuaggio era in voga e non destava sospetti (…) Poi c’è stato un altro incontro risolutivo, con il professor Alfredo Rossi (e tutto il suo staff di giovani collaboratori), responsabile dell’ambulatorio di tricologia dell’Umberto primo. Grazie a lui ho potuto accedere ad un nuovo farmaco che arriva dagli Stati Uniti. Ho iniziato la cura lo scorso anno e ho visto un grande miglioramento. Tra un paio di mesi potrò togliermi la parrucca e mi sono già ricresciute le ciglia. Le parrucche non hanno cambiato chi sono lo hanno solo ‘mostrato’ in modo diverso ma rivedermi con i miei capelli è stata un’emozione fortissima. Ero di nuovo io”.
“Mia madre non ha mai voluto vedermi senza parrucca, ‘se no mi sento troppo male’, mi diceva”
“Quando mi sono ammalata ero sola, non avevo nessuno a cui appoggiarmi. Proprio in quel periodo ho incontrato un uomo che mi ha accompagnato nel percorso – racconta la giornalista – Averlo avuto al fianco nella malattia mi ha fatta sentire desiderata malgrado tutto. Non sono semplici le relazioni, anche questo è un problema, mia madre per esempio non ha mai voluto vedermi senza parrucca, ‘se no mi sento troppo male’, mi diceva. Ora mi aspetta un altro passo difficile: togliermi il ‘cappello’ o ‘la testa mobile’, come chiamo la parrucca, per tornare definitivamente a essere quello che ero. Intanto però mi batto perché questa malattia venga riconosciuta dal Servizio sanitario e per dire a tutti che una cura esiste”.