25 Novembre 2024, 12:46
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Jovanotti si racconta a tutto tondo: la moglie, l’amata figlia e il dolore per la morte prematura del fratello. L’artista torna sul palco dopo la lunga pausa legata all’incidente del 2023 a Santo Domingo. Il suo ultimo brano si intitola “Montecristo” e il motivo lo spiega lui stesso in un’intervista al “Corriere della Sera”: “Come il conte di Montecristo. Mi ha sempre affascinato. L’uomo che ha perso ogni cosa, anche l’amore, ma poi ritorna. Per questo ho intitolato Montecristo la nuova canzone. È uscita l’altro giorno, e mi hanno già scritto in tanti. Morandi, Cremonini, Carboni, Giuliano dei Negramaro, Paola Turci, Vasco Brondi, Emma, Tananai, Brunori, Giorgia…. Sono tanti gli amici, con molti ci frequentiamo. Quello con cui ho la storia più lunga è Carboni”. Dell’incidente che lo ha costretto a fermarsi racconta: “Andavo in bicicletta su una strada asfaltata da due giorni, c’era un dosso non segnalato, ho fatto un volo sbagliato. Ho visto il piede al contrario, la clavicola fuori. Ambulanza. Ospedale più vicino. Poi ospedale più attrezzato Il femore non si era rotto; si era sbriciolato. In particolare il trocantere che è la parte curva dell’osso. Mi hanno operato alla bell’e meglio. Ma non potevo tornare in Italia: nessuna compagnia aerea mi voleva imbarcare, il rischio di embolia o di trombosi era troppo alto. Così sono rimasto a Santo Domingo un mese”.
Dopo un mese Jovanotti è riuscito a tornare in Italia. “Mi facevano lastre, risonanze, e vedevo facce preoccupate – ricorda – Avevo una gamba quattro centimetri più corta dell’altra. Bisognava ricostruire l’osso, ma prima dovevo aspettare sei mesi: al trocantere sono attaccati i tendini e i muscoli, ed era tutto vivo”. Jovanotti racconta dell’intervento che lo ha rimesso in piedi: “Mi hanno operato da sveglio. Otto ore di anestesia totale erano troppe. Sentivo le martellate; ma era come se le dessero a un altro. L’ortopedico in fondo è un falegname. Mi ha segato il femore a metà, e l’ha sostituito con una sbarra di titanio, circondata da pezzetti delle mie ossa. Una specie di Lego”. “Adesso – continua – la fisioterapia la faccio per bene e non mi pesa. Sveglia alle sei, prima sessione di un’ora e mezza. Leggo, scrivo, suono, mangio, guardo il lago Trasimeno che luccica laggiù sotto il sole. Poi la seconda sessione. Per marzo sarò in forma”. Marzo sarà un mese importante e l’artista spiega perché: “Riprendo a suonare. Tournée nei Palasport. PalaJova. Sono curioso di provare la macchina, di vedere come funziona il mio corpo nuovo”.
Nel suo ultimo brano Jovanotti evoca l’estate del 1976. “Ho scelto il 1976 perché a dieci anni inizi a farti un’idea della vita – spiega – e un po’ anche per la rima. Da piccolo mio babbo Mario mi regalò un libro sulla tecnica del disegno, con una dedica, l’unica che mi abbia mai scritto: ‘A mio figlio Lorenzo, perché scopra se ha davvero la stoffa dell’artista’. Io l’ho regalato a mia figlia Teresa, quando lasciò medicina per studiare arte”. Della figlia Teresa svela: “Adesso fa l’aiuto regista di Guadagnino. E disegna fumetti. Il suo nome è in onore di madre Teresa di Calcutta, cui il babbo era devotissimo. Le faceva da autista quando veniva in Vaticano. Io sono più ecumenico del Papa. Vicino a casa c’era un bar, noto ritrovo di fascisti. Poi andavo dagli scout, e il mio capo squadriglia leggeva Lotta Continua in chiesa”. “Mio padre faceva il gendarme in Vaticano – ricorda – Accompagnò un amico all’esame: scartarono l’amico e presero lui. Era grande e grosso, figlio unico di madre vedova”. Poi condivide il suo primo ricordo da bambino: “Ho tre anni, mia sorella Anna è appena nata, e l’uomo sta sbarcando sulla luna. Piazza San Pietro era il nostro cortile di giochi. In realtà ero un po’ solitario”.
Emanuela Orlandi era vicina di casa della famiglia di Jovanotti. “Era amica di mia sorella – confida -. Anna voleva iscriversi alla scuola di musica vicina a Sant’Apollinare, ma era tutto pieno. Un giorno le telefonarono: si era liberato un posto. Era quello di Emanuela. Per mia sorella divenne un’ossessione. Ha studiato il caso, incontrato suo fratello. La verità non la sapremo mai. Mio padre era convinto che Emanuela fosse stata vittima di un maniaco, e il Vaticano non c’entrasse nulla”.
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Jovanotti ha anche due fratelli più grandi: “Bernardo e Umberto, che è morto a 46 anni, caduto con l’aereo che stava collaudando per conto di un amico. Come immagino l’aldilà? Se la risata è un’onda, l’aldilà sarà il punto più alto dell’onda, moltiplicato all’infinito. Il luogo dell’affetto eterno. L’affetto si tocca. È la carezza, la cura”. Poi svela: “Mio fratello Umberto lo rivedo tutti i giorni. Mi sto dimenticando le sue mani, la sua voce, perché certe cose bisogna lasciarle andare; ma noi due siamo sempre insieme. Come diceva il babbo, a Umberto partiva un treno al giorno: il clarinetto, la chitarra, le donne… Era un cristiano vero, andava a messa ogni domenica, girava con la Bibbia in macchina, tutta sottolineata. Ora quella Bibbia ce l’ho io. La morte è il grande mistero. Però so che la morte fa parte della vita”.
Jovanotti ricorda anche la madre. “Si chiamava Viola. Così piccola, con quel marito enorme ed esuberante, e quattro figli… Per tutta la vita ha sofferto di depressione, allora si chiamava esaurimento nervoso. E per tutta la vita io ho cercato di farla ridere. Aprivo la porta fischiando. Ero il clown di casa. Tutto quello che ho fatto, anche quando lei se n’è andata, distrutta dalla morte di mio fratello, l’ho fatto per il sorriso di mia madre”, ammette.
“Se sono credente? La penso come Jung: conviene credere. Funziona – afferma Jovanotti – Se non credi in Dio, in cosa credi? Nel mercato? Nella tecnologia? È bello credere, è bello pensare di essere figli di qualcuno. Credo nell’assoluto più che nella dottrina. Credere è una scelta, ed è anche un lavoro, dettato dal destino. Lascio la porta aperta al mistero, anzi spalancata. Un mondo senza religioni sarebbe peggiore, perché la fede è la cosa più umana di te. Significa far parte di qualcosa di più grande, in cui ti fondi. Il punto non è liberarsi delle religioni; è liberarci”. Dell’attuale Pontefice dice: “Il Papa è un monarca. Un’istituzione. Umanamente, Francesco mi piace, mi diverte, mi emoziona. Gli si vuole bene. Ma l’idea che la Chiesa si debba trasformare in una onlus non mi pare del tutto condivisibile. La Chiesa è trascendenza. È la presenza di Dio nella storia. La Chiesa è casa mia. Ci sono nato dentro”.
Si torna a parlare di musica. Jovanotti ha iniziato la sua carriera negli anni ’80 con il rap: “Il ballo, i colori sgargianti, i vestiti eccentrici. Anni di festa; e la festa diventava un format. Lo spirito del tempo era l’energia. Arbore, i Righeira, la new wave, l’elettronica… Tutto era iniziato con la vittoria ai Mondiali dell’82. Ero in discoteca, qui a Cortona. Il dj titolare era andato a festeggiare, e il padrone mi chiese di prenderne il posto. Fu la prima volta che mi pagarono”. “Comincia tutto a 19 anni – ricorda ancora- ero già tra i due o tre dj importanti di Roma. Sabato e domenica pomeriggio al Piper, tutte le sere al Veleno, vicino a Via Veneto: ci sono passato qualche anno fa, ora è un locale per scambisti. Feci un’estate a Porto Rotondo e una a Palinuro, dov’era in vacanza la moglie di Cecchetto. Venne alla consolle e mi disse: ‘Se ti vede Claudio, impazzisce’. Così le lasciai il numero di casa. Cecchetto mi telefonò a settembre: ‘Mia moglie, da cui sto per divorziare, mi ha segnalato te. Siccome non mi ha mai segnalato nessuno, verresti a Milano?’”.
“Avevo fatto un provino a Discoring, mi avevano preso – racconta – Discoring era la trasmissione di punta della Rai; ma già si vedevano i segni del declino. Dj Television era il nuovo. Non esitai”. Il boom di Jovanotti è arrivato negli anni ’90. “Che sono stati molto migliori degli anni 80 – sentenzia -. Viene inventata la rete. Esplode il rap, la musica delle città: il rock è ancora una musica rurale, che si inurba; il rap è Eminem, New York, la street culture. Serenata Rap è del 1994”.
L’artista rivela poi per chi ha scritto il famosissimo brano “A te”: “Era per mia moglie, Francesca. La scrissi per chiederle di sposarmi. La canzone di Teresa la composi invece quando Francesca era incinta. Si chiama ‘Per te’”. L’artista ricorda l’incontro con la consorte: “Siamo tutti e due di Cortona. Era un’amica di mia sorella; ma non mi ero accorto di lei. Un anno, era sempre il 1994, il parroco, don Antonio, mi chiede di regalargli un’ambulanza per portare i disabili al mare. Io dico: facciamo un concerto e con l’incasso compriamo l’ambulanza. Invito anche Pino Daniele. E vedo questa ragazza dagli occhi azzurri, bellissima. Mi ricordo di lei. Tento un approccio. Non ci siamo più lasciati”.
Il 6 settembre 2008 Jovanotti e Francesca Valiani convolano a nozze a Cortona, nella chiesa di Santa Maria Nuova. “Momenti difficili? Sono io a essere difficile – ammette il cantante – Sempre in giro, viaggi da solo, tournée… Ma abbiamo condiviso tutto, amore, affetto, casa, famiglia, gatti, e una figlia meravigliosa”.
La visione del mondo di Jovanotti è sempre stata incentrata sul pensare positivo: “L’ottimismo è un dovere. È una forma di militanza. Capire dov’è la luce, quali cose si possono fare. L’ottimismo è la base della democrazia”. Il cantante dice la sua sulla situazione politica mondiale partendo dalla figura di Elon Musk: “Capisco chi è impaurito, sebbene io non lo sia. Musk è una rockstar, e sa di esserlo. È proiettato a superare i modelli con cui siamo cresciuti. Nella controversia è a suo agio: sa che l’algoritmo non misura il consenso, ma i numeri. Trump invece è un fenomeno del nostro tempo, e come tutti i fenomeni, anche i più inquietanti, è un’occasione per distinguere cosa Trump non è, e farla fiorire. Ha vinto nettamente, e gli elettori meritano rispetto. Dall’altra parte gli altri non sono riusciti a darsi una leadership forte, che si occupasse dei temi che davvero interessano”.
“La Schlein? In questi mesi è migliorata nella comunicazione. L’ho incontrata una volta. Vuole fare bene, vuole fare del bene. Ma la politica è una macchina infernale, difficilissima da guidare. La Meloni invece nel comunicare è una fuoriclasse. Ma non mi piace quello che fa. L’immigrazione è un allarme, però è anche una risorsa, un fenomeno inarrestabile che deve essere gestito bene. Il nostro Paese ha bisogno di salvare la sanità pubblica, di ripensare la scuola, di prendersi cura delle persone. Tutto questo nel governo non lo vedo”, conclude.
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25 Novembre 2024, 12:46