Cecilia Sala a "Che tempo che fa": "Incappucciata e faccia al muro"

Cecilia Sala a “Che tempo che fa”: “Incappucciata con la faccia al muro”

Daniela Vitello

Cecilia Sala a “Che tempo che fa”: “Incappucciata con la faccia al muro”

| 19/01/2025
Cecilia Sala a “Che tempo che fa”: “Incappucciata con la faccia al muro”

5' DI LETTURA

Cecilia Sala sbarca a “Che tempo che fa” e racconta i 21 giorni di detenzione trascorsi in isolamento nel carcere di Evin, in Iran. La giornalista entra in studio dal ledwall dietro al tavolo invece che dall’ingresso abituale che prevede la passerella tra il pubblico. Più volte durante l’intervista ripete di essere stata fortunata e tenta di spostare l’attenzione sulle donne ancora detenute nelle carceri di Teheran. “Mi hanno presa nella mia camera d’albergo – racconta – Stavo lavorando, hanno bussato e da quel momento non ho potuto toccare il mio telefono o fare nulla. Ho capito dove mi stavano portando perché conosco il carcere che è dentro la città. In auto ero bendata e con la faccia schiacciata contro il sedile anteriore. Dal traffico, dalla strada che abbiamo fatto, ho immaginato che il carcere potesse essere soltanto quello lì”.
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Cecilia Sala a “Che tempo che fa”: “Ecco quando ho capito di essere un ostaggio”

“Ti hanno fatto del male fisicamente?”, chiede Fabio Fazio. “No, non mi hanno mai toccato – replica Cecilia Sala – Maschi e femmine non si possono neanche sfiorare. La persona che mi interrogava era un maschio, quindi quando mi portavano dalla cella alla sala degli interrogatori, avevo la benda e un bastone che un uomo teneva all’altra estremità perché non potevamo sfiorarci. Ero incappucciata anche per andare alla toilette. In cella c’era dei fari al neon sempre accesi e quando non dormi da giorni perdi anche un po’ la fiducia nella tua testa. Non ti fidi della tua memoria e anche rispondere agli interrogatori diventa un gioco psicologico abbastanza pesante”. “Ho capito di essere un ostaggio quando mi hanno detto che era morto Jimmy Carter, il presidente americano – svela la giornalista – Per gli iraniani Carter è il presidente della crisi degli ostaggi, della rivoluzione del ’79 quando quelli che diventeranno il nuovo regime in Iran prendono in ostaggio tutti gli americani. È l’unica notizia che mi hanno dato dall’esterno, non sapevo nulla di quello che stava succedendo fuori. Lì ho capito che il messaggio era ‘sei un ostaggio’”.

“C’era una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere la testa contro la porta”

Cecilia Sala racconta che, quando la fessura della porta blindata della sua cella era aperta, sentiva i rumori delle altre detenute: “C’era una ragazza che prendeva la rincorsa, in una cella di 2 metri x 3, per sbattere la testa il più forte possibile contro la porta blindata. I rumori che arrivavano dal corridoio erano spesso strazianti: pianti, a volte vomito, a volte tentativi di farsi del male. L’isolamento è una condizione in cui si trovano ancora tantissime iraniane che non hanno la fortuna che ho io di avere un Paese alle spalle che si muove per te e ti protegge. Loro sono ancora in questa condizione e credo che la telefonata che ha fatto capire alla mia famiglia come stessi è stata quella in cui ho detto a Daniele (il suo compagno, ndr) che avevo paura per la mia testa, avevo paura di perdere il controllo dei nervi”.

Cecilia Sala

“Durante un interrogatorio sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi”

“Nell’isolamento viene costruita una condizione psicologica per cui tu crolli (…) – spiega la giornalista – Quando qualcuno ti interroga, sei incappucciato, faccia al muro, e una persona ti fa le domande da dietro. L’ultimo interrogatorio prima della mia liberazione che viene annunciata alle 9 dell’8 gennaio è durato 10 ore. Nel corso di un interrogatorio, io sono crollata. Mi hanno dato una pasticca per calmarmi e si è interrotto perché non ero in grado di continuare a rispondere. Mi interrogava sempre la stessa persona che parlava un perfetto inglese. Dalle domande che faceva capivo che conosceva bene l’Italia”.

“Finché c’è la Repubblica islamica credo proprio che non tornerò in Iran”

Cecilia Sala non avrebbe mai immaginato di essere liberata dopo tre settimane: “Quando nelle ultime sere è arrivato un libro, poi le lenti e la compagna di cella ho pensato di poter restare lì altri due anni”. “Tu hai parlato del senso di colpa dei più fortunati”, sottolinea Fabio Fazio. “Beh, è un qualcosa che ti porti dietro – ammette la giornalista – Io avevo già in testa queste persone, raccontavo già le loro storie (…) Adesso c’è un’emotività ulteriore da parte mia”. Cecilia Sala torna indietro con la memoria al giorno del rilascio: “Pensavo mi stessero portando in una loro base militare, che non si fidassero del carcere ufficiale. Che magari le altre istituzioni potessero fare uno scambio senza consultarli e quindi mi stessero portando in un altro posto. Quando arrivo all’aeroporto militare e mi tolgono la benda vedo un primo volto ‘italianissimo’, poteva essere solo italiano, in un abito grigio. Faccio il sorriso più bello della mia vita ed effettivamente poche ore dopo ero a Roma”. “Finché c’è la Repubblica islamica credo proprio che non tornerò in Iran”, aggiunge.
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Cecilia Sala a “Che tempo che fa”: “Adesso, aiutata, riesco a dormire”

A “Che tempo che fa”, Cecilia Sala fa anche una precisazione: “Nessuno della mia famiglia, neanche Daniele, ha mai parlato con Elon Musk. Ma Daniele ha contattato il referente di Elon Musk in Italia, Andrea Stroppa, e lui gli ha risposto ‘è informato’”. Come sta la giornalista dopo l’inferno vissuto in Iran? “Adesso, aiutata, riesco a dormire – svela – Ho dei picchi di eurofia bellissimi e dei momenti di ansia che imparerò a gestire. Sono stata fortunatissima a stare lì dentro solo 21 giorni. Il recupero è più rapido rispetto a tante altre persone rimaste lì centinaia di giorni. Sono stata liberata in tempi assolutamente veloci, è stato un lavoro che non si vedeva in tempi così rapidi dagli anni Ottanta”.

Pubblicato il 19/01/2025 22:55

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