Carmen Consoli ha rilasciato una rara intervista al “Corriere della Sera” in cui parla di musica, social e del suo rapporto con le nuove tecnologie e il mondo che cambia. In queste ultime settimane è stata impegnata in una serie di concerti a New York, Montreal, San Francisco, Los Angeles e Miami dove ha portato le sue canzoni più famose ma anche brani in dialetto. Nella sua ultima copertina c’è lei in una foto da bambina. Il tour mondiale si intitola “Terra ca nun senti”, un omaggio alla tradizione musicale siciliana. “Sono vent’anni che faccio concerti negli Stati Uniti – racconta – siamo arrivati a quota sessanta. Quand’ero piccola l’Italia era molto influenzata dallo stile americano: il cinema, i telefilm. Seguivo Madonna, volevo avere quello stile di vita. Mangiare l’hamburger, fare come le ragazzine che vedevo in tv. Invece mi giravo e c’era l’Etna, l’elefante di travertino e i palazzi antichi. Vista da Catania l’America era tutti i sogni possibili”.
“Le radici sono la chiave del futuro, senza radici non puoi essere libero”
Il sogno dell’artista è sempre stato poter fare musica. “Poter fare le mie canzoni e trovare qualcuno disposto ad ascoltarle – sottolinea – Che fossero due, quattro o quattrocento non aveva importanza: salivo sul tavolo della cucina con la chitarra, una lampada tascabile come microfono, accendevo le luci colorate e immaginavo il mio pubblico. Rispetto al quale mio padre diceva: meglio pochi ma buoni”. “Magari c’è chi ti segue perché in quel momento hai un singolo fortunato, poi finito quello se ne va – spiega -. Io volevo fare canzoni nuove, che non fossero mai state ascoltate. Avevo quest’ambizione, ma le persone delle case discografiche all’inizio mi chiedevano di andare sul sicuro, rifare cose che esistevano già. Ho avuto sempre in mente che le radici fossero la chiave del futuro. Senza radici non puoi essere libero. È l’insegnamento di mia madre e mio padre: mai vergognarsi della propria provenienza”.
Poi aggiunge: “Se sai chi sei puoi andare dove vuoi. E le radici puoi combinarle, ibridarle. Io sono una pala di fico d’India, una pianta di limone: non posso diventare un mango. Ma posso mettere radici anche in una terra diversa, lasciandomi influenzare. La diversità è ricchezza, come canto ne ‘A finestra”.
Carmen Consoli contro i social: “Mi sarei estraniata anche a vent’anni dal concetto dell’algoritmo che decide per noi”
La cantante catanese si è sempre contraddistinta per l’originalità delle sue sonorità, per il suo modo di cantare e per i testi. “Non sapevo di poter essere così diversa – ammette – ma è vero che ho sempre cercato di essere me stessa, contrapponendomi al modello imposto. Estetico, musicale. Avevo le mie idee, forse non erano niente di rivoluzionario, ma erano le mie. E non vedevo perché dovessero uniformarsi alle altre. Poi certo ero diversa: venivo da San Giovanni La Punta, in provincia di Catania. Portavo una realtà etnea, ero abituata a vedere la lava e dall’altra parte il mare, a svegliarmi la mattina a mangiare la granita al posto del pranzo. Oggi ho capito che essere tradizionali può essere innovativo: il recupero del passato è una forma di resistenza”. Un’artista che anche nella vita di ogni giorno si sente lontana da questo tempo. “Sono distante, e non per l’età – spiega -. Mi sarei estraniata anche a vent’anni dal concetto dell’algoritmo che decide per noi, e ci dice dove andare, quali film da vedere, chi dobbiamo frequentare, cosa dobbiamo comprare, la musica che dobbiamo ascoltare. La decisione è una facoltà che si rattrappisce”.
“Anche quando ho iniziato c’era il pensiero comune– aggiunge – c’era la televisione: ti dovevi uniformare a quell’algoritmo più rudimentale. Io invece sentivo delle cose, ho solo dato voce ai miei sentimenti”.
“WhatsApp me l’ha installato mio figlio. Perché sennò non riusciva a chiamarmi in America”
Carmen Consoli confessa di avere un pessimo rapporto coi social network. “Non li uso. Il primo social, WhatsApp, me l’ha installato mio figlio. Perché sennò non riusciva a chiamarmi in America. Ogni volta che lo usavo la gente attorno a me rideva. Poi ho capito: mi aveva messo come sfondo l’immagine di una scimmia col microfono. Prima più il digitale era vicino a ciò che era creato dall’uomo e più diventava buono, di alto livello. Adesso succede che tanto più l’uomo si avvicina all’intelligenza artificiale quanto più diventa rispettabile, popolare, fa carriera. È un problema, perché comincia a minacciare la capacità dell’essere umano di appellarsi ai propri sentimenti, ai propri pensieri. Io rifiuto questa cosa. L’intelligenza artificiale ha a che fare con la risoluzione dei problemi, ma la coscienza ha a che fare con l’amore, il dolore, la speranza”.
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Carmen Consoli contro i social: “Finiamo a interagire solo con quelli che la pensano come noi”
L’artista si dice preoccupata dall’impiego dell’intelligenza artificiale. “Se io adesso vado a pranzo col mio chitarrista, Massimo Roccaforte, è difficile guardarci negli occhi, perché lui chatta. Oppure qua in America è pieno di self-driving car, automobili a guida autonoma. Le intelligenze artificiali possono essere anche più efficienti o precise degli uomini: queste self-driving car è dimostrato che possono evitare incidenti. Però l’etica non la puoi eludere. Non mi inquieta l’idea di una rivoluzione dei robot contro gli uomini, mi preoccupa chi dice ai robot di fare cosa”. Carmen Consoli parla di “violenza del click”: “Finiamo a interagire solo con quelli che la pensano come noi, lo puoi fare solo in questa scatoletta con cui noi stiamo dialogando ora. Nella vita non funziona così. Quindi trovo sia diseducativo. A me hanno insegnato che chi ha un pensiero diverso può correggere il mio. E se il tuo pensiero ha punti deboli si può arricchire grazie al mio. Invece viviamo una fase di torpore, le coscienze sono addormentate e sempre le une contro le altre”.
“Non uso i social ma incontro tutti. Alla fine dei concerti parlo con chi c’è, faccio un sacco di foto”
La cantante svela le sue strategie di resistenza all’omologazione: “Innanzitutto fare ciò che mi piace. Voglio trarre gioia da ciò che faccio. Con questo non vuol dire che io mi esimo dal lavoro o dalla fatica: voglio faticare molto, ma quando mi sveglio al mattino voglio essere felice. Quindi elimino ciò che non mi fa stare bene: non uso i social ma incontro tutti. Alla fine dei concerti sto anche due, tre ore: parlo con chi c’è, faccio un sacco di foto in cui vengo bruttissima, ma non mi interessa. Resistere per me è continuare a promuovere il contatto umano, l’empatia, la chimica dell’incontro. Abbiamo un corpo e non lo si può sostituire, come ci stanno chiedendo di fare, coi trend e il sistema binario. Tant’è vero che non siamo felici: il consumo di antidepressivi oggi supera ogni precedente”. L’artista parla anche della frenesia di questi tempi. “Ci dicono che meno tempo impieghiamo per fare le cose e meglio è: non è vero – afferma -. Il senso della storia è in estinzione, c’è un revisionismo dilagante e patologico.
“Non pretendo ci si ricordi Napoleone o l’Unità d’Italia, ma anche solo che ieri hai detto questa cosa e oggi stai dicendo l’opposto. In politica è una piaga: ogni giorno cancella il precedente. E questo perché non dobbiamo essere liberi di comprendere, ragionare. È invece è importante capire l’errore di Napoleone, perché Hitler fece lo stesso errore. È importante capire cos’hanno fatto i nostri nonni, i nostri avi. Senza storia, come diceva Battiato, stiamo diventando dei neo-primitivi”, spiega.
“A mio figlio dico che c’è il cibo che nutre il corpo e il cibo che ti nutre il cervello”
Carmen Consoli parla anche del figlio Carlo e di come prova a trasmettergli i suoi insegnamenti. “Gli dico che c’è il cibo che nutre il corpo e il cibo che ti nutre il cervello. E che sarebbe bellissimo se si laureasse. Ma, come dice il mio amico Max Gazzè, con che credibilità diciamo ai nostri figli che lo studio è importante, se poi vedono che un influencer prende 50.000 euro al mese senza fare niente? Oggi se approfondisci sei noioso, la gente non ti segue. In un titolo ci deve essere già tutto, e se è solo una mezza verità non importa”. In questo contesto l’artista ha scelto di creare un’orchestra folk siciliana. “Orchestra vera, non tracce pre-registrate – sottolinea -. Salgo sul palco senza sequenze: non suono dietro un metronomo che mi dice il tempo da tenere. Eseguiamo quello che c’è da eseguire con i nostri mezzi. Non che io sia contraria in assoluto alle sequenze, però avere degli orchestrali veri è bello. A Siracusa l’anno scorso erano quindici, a Pompei quest’anno sette”.
Poi aggiunge: “Ogni concerto di questo tour ha un assetto diverso, anche a seconda degli spazi in cui suoniamo. C’è sempre la mia band, più degli strumenti della tradizione, come i friscaletti, e un violino. Poi un signore che suona alcuni particolari strumenti a fiato e una percussionista coi tamburi a cornice. Ah, mi è venuta in mente un’altra delle mie strategie di resistenza”.
“Il telefono? Una schiavitù. Se visualizzi un messaggio e non rispondi la gente si offende”
Carmen Consoli rivela di avere un rapporto quasi inesistente con il telefono: “Non me lo porto quasi mai. Solo se non sono con mio figlio, per parlare con lui. E lo dico chiaramente alle persone: ‘Se non vi rispondo è inutile che insistete’. È una schiavitù: se visualizzi un messaggio e non rispondi la gente si offende. Io non voglio questo strumento attaccato fisso al mio corpo: perché devo essere sempre reperibile? È un ricatto, tutto il sistema ipercomunicativo di oggi è basato su ricatti impliciti. E un ricatto non è qualcosa che ha a che fare con la poesia: ha a che fare con la delinquenza. Esiste la delinquenza materiale e quella spirituale. Abbiamo lottato a lungo per affrancarci da tutto questo. Perché devo dare questo pizzo morale al sistema? Io metto le cose in chiaro: non ne pago pizzo”.