A brillare sul palco de “Le Iene” è Arisa. La cantante è intervenuta con un lungo monologo che racconta di sé, delle sue paure, della sua sensibilità e della sua voglia di far star bene gli altri. È intervenuta senza tralasciare la moda: la ritroviamo coloratissima in un tailleur total pink firmato Gaelle Paris: “Fino all’ultimo pensavo di non farcela ad essere qui, perché mi vergogno sempre un po’ di quello che sono e di quello che faccio. Mi sono chiesta: a chi interesserà di me, di quello che racconto o di quello che provo io? Poi però, ho pensato che, infondo, io credo nel mio punto di vista, ha già 40 anni ed è figlio delle persone che amo di più al mondo, del cielo della Basilicata, della terra incastrata sotto le unghie, di tante offese mai rese e di troppi no…ma anche di premi inaspettati, di sorrisi non dovuti, dell’amore semplice, quello più puro”.
“Sognavo di essere luminosa”
“Fin da bambina sono stata attratta da chi cerca di fare star bene gli altri – ha svelato – Sognavo di essere luminosa come Papa Giovanni Paolo II e di cantare canzoni come “Heal the world” di Michael Jackson, che incita ognuno di noi a rendere il mondo un posto migliore per tutta la razza umana. Quando mi dicevano che non ce l’avrei fatta io non rispondevo nulla, mi chiudevo in camera a pensare più forte, ad architettare la mia luce, e alla fine sono riuscita a brillare per davvero. E quando canto è sempre per la pace e per diffondere amore: mi piace che le persone si sentano accettate con la mia musica”.
“Essere buoni non è un precetto religioso o una roba da sfigati”
Arisa ha concluso commuovendosi ed esortando ad essere più buoni: “Essere buoni non è un precetto religioso o una roba da sfigati, ma una scelta consapevole. E la consapevolezza è la cosa più sexy che ci sia. Quando qualcuno mi fa del male, anche se una lacrima mi resta dentro, mi rifiuto di credere che sia fatto apposta, per vocazione. Per questo allontano, ma non odio mai, mi chiedo sempre il perché prendendomi anche metà della colpa. Tutti noi, nel bene e nel male, siamo la conseguenza di qualcosa o di qualcuno, è la comprensione che fa la differenza. Io non sono certo una santa, ma conosco la sostanza del mio cuore, e sono certa di essere riuscita a diventare quello che volevo essere da bambina: una persona buona. Cercare sempre di agire per il bene, essendo orgogliosi di sé stessi, potrebbe essere la chiave per la felicità. Non c’è un gene che ammala di depressione se non la coscienza di non fare tutto quello che è in nostro potere per vivere la vita migliore a cui possiamo aspirare. È un lavoro lungo, ma si fa. Se ci sono riuscita io puoi farlo anche tu. Siate buoni e felici”.