Claudio Amendola, attore, regista e ora anche scrittore, parla di tutto, figli, film e la sua ultima avventura come scrittore, in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera”. L’attore esce con un libro dal titolo “Ma non dovevate anda’ a Londra”, edito da Sperling & Kupfer, in cui racconta un pezzo della sua vita, dagli 11 ai 32 anni e ricorda la madre Rita Savagnone, la regina delle doppiatrici, che lo portò in viaggio nei paesi dell’Est. “Sono passati 50 anni e ricordo ancora le sensazioni epidermiche di quel viaggio – esordisce l’attore . Un’esperienza incredibile, formativa, che assorbii come una spugna. Mia madre anziché portare me e mio fratello Federico a Londra, come ogni ragazzino sogna, ci caricò su una Fiat 128 in una rocambolesca avventura tra ex Jugoslavia, Romania e Bulgaria, alla ricerca di quello che ai suoi occhi sembrava il Paradiso perduto; sulla carta, uguaglianza e pari opportunità, l’Europa dell’est, periferia dell’impero sovietico”. Il libro è dedicato alla madre: “Ha dato la voce a tutte le star di Hollywood, Liz Taylor, Shirley MacLaine, Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Jane Fonda… Come attrice veniva dal teatro off, quello alternativo e politicizzato. Era una militante entusiasta del Pci. Convinta che nel giro di qualche anno il cirillico sarebbe stata la lingua più parlata al mondo. Una madre così diversa dalle altre, così fuori dalle regole, indipendente”.
“Avevamo un rapporto fisico, effusioni, coccole, abbracci – ricorda ancora – In quel viaggio ci imbattemmo nella burocrazia insopportabile, nei negozi vuoti, nella tristezza. Lei fino all’ultimo difese quel sistema, l’importante sono i principì, diceva. Alla fine la realtà superò l’utopia e pianse. Tutto quello in cui aveva creduto si stava sgretolando. Eravamo tutti d’accordo: in Occidente se magna meglio”.
“In ‘New York New York’ di Scorsese mio padre doppiava De Niro, mamma Liza Minnelli”
Nato in una famiglia di doppiatori, il destino di Claudio Amendola era segnato: “Ho sentito i miei dirsi ti amo solo quando lavorarono insieme per ‘New York New York’ di Scorsese, lui doppiava De Niro, lei Liza Minnelli. L’amore per il cinema è nato grazie a loro, ma tuttora non mi considero un cinefilo, sono più innamorato del mestiere in sé che del risultato. Ho fatto film impegnati (su tutti Mery per sempre) e, posato quel mattoncino, sono tornato a fare le cose che mi divertivano di più. Al primo provino, per uno sceneggiato Rai, andai senza alcuna voglia di farlo. Chiesi a mio padre come dovessi dire le battute, mi disse: dille come se le dovessi dire a Franco. Era il mio migliore amico. Risposi, certo, perfetto, vabbè”. Ferruccio Amendola e Rita Savagnone si separarono quando lui era molto piccolo. “Avevo un anno e nessuno mi ha mai spiegato bene perché si lasciarono. Lo vedevo nel week-end, non c’è stata una sera che non mi abbia dato la buonanotte al telefono – svela -. Papà era il divertimento, la Roma, il tennis, le carte, le magnate in compagnia. A 14 anni andai a vivere da lui a Formello e alle sue cene con gli altri doppiatori volevano venire i miei amici per sentire le voci degli attori, Sean Connery, Robert Redford, mentre io volevo andare in centro”.
Poi aggiunge: “Papà quando doppiava Er Monnezza-Tomas Milian diceva una infinità di parolacce e i miei amici mi ossessionavano per farsi mandare aff…da lui. Gli dicevo, pa’, devi mandare aff…un amico mio. E lui: ma perché, mi sembra una cosa da maleducati. Oggi mi diverte, allora mi sembrava una assurdità”.
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“Ogni giorno della mia vita sono stato in sovrappeso di almeno tre, quattro chili”
Le passioni di Claudio Amendola, oltre all’amore per i figli e al cinema, sono sempre state il cibo e il calcio. “Ogni giorno della mia vita sono stato in sovrappeso di almeno tre, quattro chili – scherza -. Ma non mi sono mai sentito a disagio. Il mio tormentone era: a ma’, c’ho fame. Mi piaceva tanto mangiare, credevo nell’equazione cibo-convivialità. Sono cresciuto con la cucina romana, la carbonara, la gricia, l’abbacchio con le patate, la porchetta. Adoravo la specialità di mio fratello Federico, che metteva nella padella tutto quello che c’era nel frigo su una base di uova. Chi me lo faceva il pollo con i peperoni in Romania?”. E il calcio? “Mi piaceva come sfottò e goliardia, negli Anni 80 allo stadio si andava con le damigiane di vino e le teglie di pasta, oggi non mi diverte più, a volte mi imbarazza vedere ragazzi così giovani che accedono subito a una ricchezza eccessiva. Nel ’90 feci Ultrà, divenne iconico ma mi creò vari problemi con la curva, fino allora avevo un legame forte col tifo organizzato. Fui attaccato dai romanisti”.
Anche se ora ammette: “Il licenziamento di De Rossi è la chiusura del cerchio per cui detesto il calcio di oggi. I padroni sono stranieri che ti comprano come una rosetta e ti fanno diventare un filone di pane, senza metterci gli ingredienti giusti. Sono disamorato, non della Roma ma del calcio, che appartiene alle piattaforme. Oggi del Manchester City contano più i tifosi che ha in Asia di quelli inglesi”.
“Lasciai la scuola dopo la terza media, non mi andava di studiare, ma era un’altra Italia”
Claudio Amendola ha dichiarato di aver sempre guadagnato bene ma di non aver saputo amministrare i suoi soldi. “Mi ritrovo in George Best, il calciatore – ammette – ho speso gran parte dei miei soldi per alcol, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato. Viaggi, ristoranti esagerati, belle macchine, andare a vedere la Roma ovunque, orologi, e oggi nemmeno li porto al polso. Molti soldi li ho proprio buttati. Nessuna rivalsa, era il gusto di spenderli, la non preoccupazione per il domani”. Una vita sregolata da giovane fatta anche di passi falsi: “Lasciai la scuola dopo la terza media, non mi andava di studiare, ma era un’altra Italia e se un ragazzo decideva di lavorare non era una follia, il lavoro c’era. Potevo fare qualunque cosa nel doppiaggio, facevo il montaggio per numerare le pellicole, ho curato quattro film di Terence Hill e Bud Spencer. Sono stato commesso in un negozio di sport, ho scaricato le cassette al mercato generale. Dopo, ho fatto qualche casino di troppo”.
Claudio Amendola: “La droga? Ho smesso per i figli, come padre mi do 7+”
Claudio Amendola rivela di aver fatto anche qualche passo falso: “A 18 anni mi arrestarono. Passai una notte a Regina Coeli per una bravata, avevo finito la benzina e la rubai da un’altra auto. Ebbi il processo, tre mesi con la condizionale e una multa di 300 mila lire”. Poi c’è stato anche il periodo in cui ha fatto uso di cocaina: “Ho già fatto coming out. Come ne sono uscito? Una sera ero da solo con mio figlio Rocco. Stava male e per un attimo non ho saputo cosa fare. L’attimo dopo ero lucido e mi sono detto ora basta”. L’attore ha tre figli: “Alessia e Giulia le ho avute dalla prima moglie, Alessia; Rocco da Francesca. Se dovessi darmi un voto, mi darei 7 +. Sono stato un padre mediamente distratto e presente. Ho anche due magnifici nipoti di 8 e 4 anni, figli di Alessia. Ecco, come nonno mi do 4. Lavoro sempre, e sono pure pigro. Ma sono onnivoro, faccio tutto, a parte il teatro per una vicenda legata a mio padre e a un suo infortunio in scena, quando per lo stress dimenticò la parte. Sono giurato da Gerry Scotti, presento il concerto del Primo maggio, faccio l’attore, il regista, ora esce questo libro”.
Nel libro parla poco di Francesca Neri, la sua seconda moglie: “Il libro si ferma agli Anni 80. E Francesca è un capitolo a parte, pulito, meraviglioso, intoccabile, che non condivido con nessuno”. “Sono in una fase della mia vita serena. Sono strafelice di poter raccontare vent’anni di gioventù in quel libro. Quel viaggio potrebbe diventare un film”, conclude.