La storia di Alfredino è tra le più drammatiche e sconvolgenti che l’Italia ricorda. La vicenda risale al 10 giugno 1981 e, a 43 anni di distanza, la Rai ha mandato in onda una miniserie dal titolo “Alfredino – una storia italiana” in due puntate (11 e 12 giugno), per ricordare il tragico evento che paralizzò un Paese per tre lunghi e angoscianti giorni. La Rai all’epoca decise di mettere in piedi una diretta no-stop lunga 72 ore culminata con la morte del bambino. Una scelta che dopo il tragico epilogo suscitò aspre critiche e polemiche. La storia di Alfredino è quella di un bimbo che era andato con i genitori, Nando Rampi e Franca Bizzarri, nella casa di campagna nei pressi di Frascati per trascorrere l’estate. Dopo una passeggiata, rincasando, il padre non lo trovò, Immediatamente scattarono le ricerche. I lamenti provenienti da un pozzo artesiano portarono un sottufficiale della polizia alla drammatica scoperta. Il bimbo era rimasto incastrato a circa 60 metri senza la possibilità di muoversi. Per salvarlo furono fatti diversi tentativi, rivelatisi tutti vani.
Anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini si recò sul luogo della tragedia
Per prima cosa fu calata al bimbo una tavoletta legata a una corda che restò incastrata e che causò in seguito ulteriori difficoltà nei soccorsi. Poi fu deciso di calare ad alcuni metri di distanza dal bimbo un microfono sensibilissimo. Una scelta discutibile visto che a tutti gli italiani fu possibile ascoltare per quasi due giorni le invocazioni di aiuto di Alfredino. Per molte ore iniziò un drammatico dialogo tra il piccolo e il vigile del fuoco Nando Broglio. Non si lasciò niente di intentato, si cominciò a scavare con una trivella. Al piccolo Alfredo veniva fatto bere saccarosio da una flebo calata giù nel cunicolo. Anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini si recò sul luogo della tragedia e volle parlare con il bimbo. Poi le speranze iniziarono ad affievolirsi quando una trivella scese a 31 metri e Alfredino scivolò di altri 30 metri. L’ultimo tentativo fu quello di far calare due volontari Angelo Licheri e Donato Caruso, per cercare di legare e tirare su il bambino, ma senza successo. All’alba del terzo giorno Alfredino morì.
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Angelo Licheri, all’epoca 37enne, si offrì volontario: “Ho toccato le mani del bambino”
Un volontario, Angelo Licheri, si calò nel pozzo per tentare di liberare il piccolo, ma non riuscì e dovette abbandonarlo lì, agonizzante. L’uomo è morto il 18 ottobre del 2021, ma nel 2018 raccontò la sua storia ai microfoni di “Fanpage.it”. “Per anni ho sognato la morte con la falce e la mezza luna, mi sfidava io le dicevo, se vuoi Alfredino dovrai passare su di me”, confessò. Angelo Licheri, all’epoca 37enne, si offrì volontario. Il piano era semplice: arrivare dove gli speleologi con le loro trivelle non erano arrivati, afferrare Alfredino e tirarlo su. “Mi sono presentato e ho detto: io vengo da Roma, se possibile vorrei rendermi utile – confessò – Pastorelli mi chiese: lei soffre di qualcosa? Ha mai avuto… Senta (lo interruppi), non mi dica nulla, mi lasci solo scendere”. Alle 23 e 50 di venerdì 12 giugno Angelo Licheri venne calato nel cunicolo. “Appena sceso – raccontò l’uomo – ho toccato le mani del bambino, con un dito gli ho pulito la bocca e poi gli occhi per farglieli aprire, però lui è rimasto così (immobile), rantolava”.
“Alla fine ho provato a tirarlo dai polsi. Ho sentito ‘track’. Gli ho spezzato il polso sinistro”
Il racconto drammatico di Angelo Licheri continua con i dettagli del suo tentativo di salvare Alfredino: “Parlavo e lavoravo per liberare la mano per poter infilare l’imbracatura. ‘Quando usciamo di qui ti compro una bicicletta – gli promettevo – i miei bambini ce l’hanno, giocherete insieme’. Quando era pronto ho intimato: ‘tiratemi su!’. Loro hanno dato uno strattone e il moschettone si è sganciato, allora ho provato a prenderlo sotto le ascelle ma anche allora davano degli strattoni impossibili. Alla fine ho provato a tirarlo dai polsi. Ho sentito ‘track’, lui neanche si è lamentato. Gli ho spezzato il polso sinistro. Mi sono quasi sentito in colpa: ‘ha già tanto sofferto e ora sono arrivato io per rompergli anche il polso’. Ho fatto l’ultimo tentativo, l’ho preso per l’indumento, ma è caduto. Alla fine ho mandato un bacio e sono salito su”.
Dopo la tragica fine del bimbo è rimasta la rabbia. “Era così facile salvarlo – dichiarò Angelo Licheri – Gli ingegneri non capiscono niente, se avessi visto la posizione in cui era avrei scavato la terra con un cucchiaio o con una palettina da giardino, ma gli ingegneri studiano i libri, se gli dai una zappa si rompono un piede”.