Kasia Smutniak si è raccontata in un’intervista rilasciata alla rivista statunitense “The Hollywood Reporter”. L’attrice polacca è stata la compagna di Pietro Taricone dal 2003 al 2010, fino al giorno del suo incidente mortale col paracadute e ha parlato della sua vita nella Capitale. “Non so se sono la persona giusta per parlare di Roma – ha esordito – Ci vivo, è vero, da più di vent’anni ma non appartengo a questa città. In verità non appartengo a nessun posto. Quando proprio devo dirlo, quando insistono, rispondo: sono di Varsavia”.
“Eravamo piccoli, Pietro ed io, lui è il padre di Sophie. Eravamo molto felici”
Quelli con Pietro Taricone sono ricordi lontani e felici: “Eravamo piccoli, Pietro ed io. Pietro è il padre di Sophie. Eravamo molto felici. Abbiamo fatto un mutuo, siamo andati in campagna abbiamo preso gli animali piantato gli alberi. Eravamo ragazzi, avevamo l’ingenuità di chi pensa di sapere che cos’è la vita. I nostri anni di luce. Poi quando Pietro non c’è stato più l’ho tenuta, la casa. È il passato, le radici, il presente, ora sono in pace, il futuro, gli alberi crescono. I figli se vorranno resteranno, lì avranno sempre un posto”.
“Adesso vivo nel quartiere Coppedè: è come un piccolo borgo”
Nel 2011 Kasia Smutniak ha iniziato una relazione con Domenico Procacci, con il quale si è poi sposata nel 2019. Dalla loro unione è nato un figlio e adesso vivono nel quartiere Coppedè. “Molto bello – ha detto l’attrice – ma la verità è che siamo venuti a stare qui solo perché è vicino all’ufficio di Domenico. Neppure mio marito appartiene a Roma. È di Bari. Poi stiamo benissimo qui: è come un piccolo borgo. Ogni quartiere in questa città diventa un paese, finisci per vivere in quattro strade. Sei di quel quartiere, non di Roma”.
“Tra Polonia e Bielorussia, i migranti sono stati imprigionati tra fili spinati”
L’attrice italo-polacca, in questi giorni, è in giro per presentare il film-documentario intitolato “Mur” da lei diretto e interpretato. “Il mio film – ha dichiarato l’ideatrice della pellicola a “La Voce di Rovigo” – è nato dall’istinto, dalla necessità di raccontare una vicenda umana di cui i media non parlano come se ci fossero nel mondo situazioni che valgono più di altre. Sono tornata in Polonia, la mia terra. Sentivo il bisogno di gettare luce sulla situazione dei migranti che sono ai confini dell’Europa, tra Polonia e Bielorussia, dove sono stati imprigionati tra fili spinati, senza più possibilità di avere contatti con altri”.
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“Sono andata in Polonia con Diego Bianchi e con lui abbiamo registrato un reportage”
Kasia Smutniak ha spiegato: “Vivo in Italia, ma il mio cuore è in Polonia. Mi è venuto spontaneo cercare di capire cosa stesse accadendo nella mia Terra. C’è un muro di 200 chilometri tirato su al confine con la Bielorussia, e costato 360 milioni, per impedire il passaggio illegale dei profughi. Da quel momento il viaggio lassù è diventato una priorità per non dire un’ossessione”. “Ho creato una rete, grazie ai social, e poi sono andata lì, con Diego Bianchi e con lui abbiamo registrato un reportage per il suo programma, ‘Propaganda Live'”, ha continuato.
“Abbiamo cercato di raccontare il dramma dei migranti”
L’attrice ha parlato del suo impegno per accendere i riflettori sulla tragedia dei migranti nella sua terra: “Ho provato a parlare a chiunque, a diverse agenzie umanitarie e sono arrivata agli euro-parlamentari chiedendo aiuto per questa situazione”. L’attrice ha svelato com’è nato il suo docu-film: “Con Marella Bombini, coautrice del film, abbiamo cercato di raccontare il dramma dei migranti che stanno morendo e nessuno racconta nulla. Lo abbiamo fatto fingendoci giornaliste e, dove non potevamo, passando inosservate, con solo un telefono e una mini-telecamera in mano”. “Abbiamo fatto tutto da sole perché i due operatori che erano con noi si sono spaventati e non hanno voluto proseguire”, ha concluso.