“Papà non mi chiamava ‘principessa’, ma mi trattava come se lo fossi”. A parlare così in una lunga intervista rilasciata al “Corriere della Sera” è Carolina Castagna, unica figlia del compianto del “dottor Stranamore” della tv Alberto scomparso a 59 anni nel 2005 per emorragia interna. Carolina è nata a Roma il 22 maggio 1992 dal matrimonio tra il popolarissimo conduttore e la dermatologa Pucci Romano convolati a nozze nel 1994. La loro unione durò pochissimo. Nel luglio del 1998 Alberto Castagna fu colpito da un doppio aneurisma dissecante all’aorta. Finì in terapia intensiva e restò ricoverato al Policlinico Gemelli per otto mesi. Carolina, che ha seguito le orme materne laureandosi in Medicina, aveva sei anni quando il padre si ammalò e tredici quando morì. Un mese fa, ha sposato un ragazzo americano.
“Papà era impaurito dall’idea di essere genitore. Tra me e lui, l’adulta ero io”
La 31enne confida che per spiegare che padre era l’amatissimo presentatore “non basterebbe un libro”. “Complicatissimo. Affettuoso e presente, ma anche molto ragazzino, impaurito dall’idea di essere genitore – svela – A volte, tra noi due, l’adulta ero io. Era già malato, i dottori gli avevano dato la lista degli alimenti che non poteva mangiare. Tipo le pesche, che contenendo molto potassio gli alteravano l’equilibrio degli elettroliti ed era un guaio. Lo beccai in cucina a mangiarle di nascosto. Oppure si chiudeva in bagno a fumare e prima di uscire spruzzava in aria il patchouli. Se lo rimproveravo, sospirava: ‘Non ho una figlia, ma una badante’. La bacchettona di famiglia, fissata con le regole, sono sempre stata io. Mamma lo copriva. Erano già separati. In coppia erano un match terribile, da amici e genitori invece fantastici”.
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“Era molto geloso, non sopportava l’idea che mi piacesse qualcuno”
Come padre, si scopre, Alberto Castagna era “buonissimo, a livelli imbarazzanti”. “Pur di accontentarmi – ricorda Carolina – mi avrebbe concesso qualsiasi cosa e non parlo per forza di regali. Una sera gli dissi, dal nulla: ‘Vorrei andare a cavallo’. Il giorno dopo mi portò al maneggio. Mi aveva preso tutta l’attrezzatura. Dopo un po’ mi scocciai: ‘Voglio scendere, non mi piace’. E andammo a giocare a bowling. Gli chiesi di comprarmi 50 mila lire di caramelle Goleador, nei tre gusti: cola, frutta e liquirizia. Il tabaccaio ci prese per matti. Papà non fece una piega, saranno state sette chili, mi durarono un anno. Mi viziava. Non mi chiamava ‘principessa’, però mi trattava come se lo fossi. Mi ha insegnato la leggerezza. Cerco di essere come lui”. Tra tanti “sì”, spicca il “no” incassato da Carolina Castagna a 12 anni. “Volevo andare tre settimane in Inghilterra a studiare l’inglese – racconta – Mamma era d’accordo, lui no. ‘Sei troppo piccola’. L’unica volta in cui abbiamo discusso. Aveva paura che ci fossero i ragazzi. Era molto geloso. ‘Prometti che ti fidanzerai solo a 37 anni’. Non un bell’augurio. Non sopportava l’idea che mi piacesse qualcuno”.
“Quando l’ho visto in ospedale senza baffi mi sono spaventata”
Carolina Castagna torna indietro con la memoria al periodo in cui il padre lottò tra la vita e la morte: “Di colpo era sparito. Mamma fu molto onesta. Mi spiegò che non stava bene e che non sarebbe tornato per molto tempo. Che era ricoverato in terapia intensiva, con tanti tubi intorno. Un giorno, in classe, annunciai che era morto. La scuola chiamò subito casa. Non era vero. Mia madre capì che avevo bisogno di vederlo. Smosse mari e monti e ottenne di farmi entrare da lui. Mi vestirono con camice, cuffietta e salvascarpe, mi stava tutto largo. Sembravo il piccolo chimico”. “Quando l’ho visto, mi sono spaventata – confessa – Soprattutto perché non aveva più i baffi, glieli avevano tagliati, non lo avevo mai visto così. ‘Senza baffi sembro una melanzana’. Era comunque lui. Dormiva. Mamma mi spiegò che non saremmo potute tornare tutti i giorni. ‘Gli puoi mandare dei disegni’. ‘No, lo so cosa desidera papà. Le mie barzellette registrate’. Un nostro gioco. Gli preparai una cassetta. Un giorno poi mi disse che sì, le aveva sentite, non so se fosse vero”.
“Due anni fa ho perso anche Stefano, il secondo marito di mia madre”
Carolina ricorda anche il momento in cui il padre lasciò il Policlinico Gemelli e tornò a casa: “Ho capito quanto fosse fragile. Era magrissimo. I nostri abbracci spigolosi. Dovevo proteggerlo. Ero contenta che fosse di nuovo con noi, ma non era più la stessa persona. Diventai più ansiosa, meno bambina. Costretta a crescere in fretta. Fingeva di stare bene. ‘Sono l’uomo più forte del mondo’. Avrei preferito che non dicesse bugie, che mostrasse la sua debolezza, ma ognuno in certi momenti fa il meglio che può”. Il giorno del malore fatale, invece, “mamma rientrò in lacrime e mi disse che papà non c’era più. Era un martedì. Fino al giorno prima stava bene. Avevamo passato il pomeriggio insieme, mi aveva comprato il cd di Beyoncé. Quando, due anni fa, ho perso anche Stefano, il secondo marito di mia madre, è stata dura. Piaceva moltissimo anche a papà: ‘Se dovessi lasciarti, so che con lui sei in buone mani’. Da loro ho imparato che più ci si vuole bene tutti quanti e meglio è”.
“Da piccola annusavo un maglione che conservava il suo odore”
Metabolizzare la scomparsa del padre per lei non è stato facile: “Mi mancava tanto, piangevo. Ero arrabbiata. Avrei voluto più giorni con lui. ‘Non mi è bastato’. Dopo ho capito che, anche se lo perdi a 80 anni, il tempo passato con un genitore non ti basta mai. Vorrei sapere cosa pensa, se gli piace mio marito, raccontargli un viaggio, parlargli di politica. Ho avuto una storia con un tifoso della Lazio. Papà era romanista sfegatato. ‘Chissà come la prenderebbe’. Poi ci siamo lasciati (…) Da piccola avevo paura di dimenticarlo, annusavo un maglione che conservava il suo odore. Poi ho capito che le persone vivono nel nostro ricordo, che in fondo non se ne vanno mai”.