Dopo due anni terribili, i ristoratori – molti dei quali messi in ginocchio dalla pandemia – sono tornati a “respirare”. I clienti non mancano. A mancare, come ampiamente denunciato, è il personale. Filippo La Mantia ha riaperto da poco il suo ristorante al Mercato Centrale di Milano. Qualche giorno fa, lo chef palermitano ha raccontato in un’intervista a “MOWmag” di essersi affidato ad un’agenzia per reclutare lavoratori per l’apertura.
“I giovani vogliono lavorare part time e non di sera”
La ricerca di giovani da impiegare nel suo ristorante va avanti tra mille difficoltà. “La ristorazione sta vivendo una crisi senza precedenti. Io sono disperato perché non trovo camerieri – svela in un’intervista al “Corriere della Sera” – Le prime domande che mi sento fare ai colloqui sono: ‘Posso avere il part time?’ e ‘Posso non lavorare la sera?’. Ma io non penso che chi mi chiede questo sia sfaticato, è che i ragazzi hanno proprio cambiato mentalità: fino a prima del Covid per loro era importante trovare un impiego, adesso è più importante avere tempo. Non sono disposti a lavorare fino a tarda notte o nei giorni di festa. Sinceramente non vedo una soluzione”.
“Offro 1300-1400 euro netti al mese per turni di 8 ore”
“Con i cuochi sono a posto, per fortuna, e sono anche molto in gamba – confida – Il dramma è il personale di sala. Avrò fatto almeno 80 colloqui nelle ultime settimane, ma niente. I ragazzi non ne vogliono sapere. Con me c’è sempre l’avvocato del lavoro, offriamo come livello base 22 mila euro lordi l’anno (1300-1400 euro netti al mese) per turni di 8 ore, soprattutto nella fascia 16-24, con straordinari pagati. Ma il fatto di dover essere impegnati fino a mezzanotte li fa scappare. Per tamponare la situazione mi sono dovuto appoggiare alle agenzie di catering che mi forniscono il personale a ore, ma non posso andare avanti così ancora per tanto perché i costi stanno lievitando. Non ho soluzioni: in sala ultimamente ci sto io, però sul lungo periodo non so che fare. Probabilmente cancellerò il menu alla carta la sera e terrò solo la formula buffet, che richiede meno servizio”.
“Restano solo quelli che vivono la ristorazione come vocazione”
Per Filippo La Mantia, dietro l’abbandono del settore da parte dei giovani c’è “un cambio epocale”. “E’ una presa di coscienza quella di mettere al centro della propria vita il tempo, è la tendenza di questo momento storico – spiega – Come si può condannarla? Io da giovane stavo al Majestic di Roma dalle 9 del mattino all’1 di notte per imparare, ma era una mia scelta, non lo posso chiedere ai ragazzi oggi. Anzi, se me lo chiedessero direi loro di non farlo”. La pandemia “obbligandoci a fermarci ci ha fatto capire che prima vivevamo in un frullatore senza nemmeno rendercene conto. E, come in tutti i settori, anche in questo ci sono due categorie di persone: quelle che vivono la ristorazione come una vocazione, che ne sono profondamente coinvolte, e quelle che la vivono come un lavoro. Queste ultime hanno lasciato. E i ventenni post Covid non cercano più questo, di lavoro”.
“Chi accetta il posto lo vive come una routine, non c’è attenzione”
Al di là degli effetti della pandemia, si pone un altro problema: “Da noi in Italia l’accoglienza, la sala, non sono viste come un’arte. Già da prima della pandemia quello del cameriere era spesso un lavoro di ripiego, fatto per guadagnare qualcosa. Io nel vecchio ristorante in piazza Risorgimento ero stato fortunato, avevo una squadra di servizio alle prime armi ma appassionata. Adesso vedo che i pochi che accettano il posto lo vivono come una routine: prendere il piatto, posare il piatto. Non c’è attenzione, cura per il dettaglio. Del resto trovo che manchi l’amore per il servizio a livello culturale, di Paese: bisognerebbe lavorarci a partire dalle scuole”.