Rula Jebreal parla al cuore degli italiani e "gela" Amadeus: "Stasera facciamo un passo in avanti" - Perizona Magazine

Rula Jebreal parla al cuore degli italiani e “gela” Amadeus: “Stasera facciamo un passo in avanti”

Daniela Vitello

Rula Jebreal parla al cuore degli italiani e “gela” Amadeus: “Stasera facciamo un passo in avanti”

| 05/02/2020

Nella prima serata del “Festival di Sanremo” brilla la stella di Rula Jebreal. La giornalista italo-israeliana ha lasciato il segno […]

Nella prima serata del “Festival di Sanremo” brilla la stella di Rula Jebreal. La giornalista italo-israeliana ha lasciato il segno con un monologo intenso, possente, drammatico, struggente, che è arrivato nelle case degli italiani come un pugno allo stomaco. Altrettanto duri e sconvolgenti sono i numeri legati a femminicidi e stupri in Italia. Quando la Jebreal parla di violenza contro le donne ne parla con cognizione di causa. L’infanzia della giornalista internazionale è stata infatti segnata dal suicidio della madre, vittima di abusi.

Ecco il testo integrale del monologo scritto in collaborazione con gli autori Rai Sergio Rubino e Giorgio Cappozzo, con la giornalista Selvaggia Lucarelli e con la sceneggiatrice Mirella Mastronardi:

“Lei aveva la biancheria intima quella sera?”
“Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina?”
“Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?”
“Se le donne non vogliono essere sfruttare devono smetterla di vestirsi da poco di buono”.

Queste sono solo alcune delle domande rivolte in un’aula di tribunale a due ragazze che in Italia hanno denunciato una violenza sessuale. Domande insinuanti, melliflue, che sottintendono una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti. Non lo siamo perché abbiamo denunciato troppo tardi, perché abbiamo denunciato troppo presto, perché siamo troppo belle o persino troppo brutte, perché eravamo troppo disinibite e ce la siamo voluta.

“Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te”.

Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine. Tutte le sere, una per volta, noi bambine raccontavamo una storia, le nostre storie. Erano favole tristi, non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate che il sonno lo toglievano. Ci raccontavamo delle nostre madri: stuprate, torturate e uccise. Ogni sera, prima di dormire, ci liberavamo tutte insieme di quelle parole di dolore.

Io amo le parole. Ho imparato, venendo da luoghi di guerra, a credere alle parole e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore. Anche e soprattutto per le donne. Ma poi ci sono i numeri. In Italia, in questo magnifico Paese che mi ha accolto, i numeri sono spietati: ogni 3 giorni viene uccisa una donna, 6 donne sono state uccise soltanto la scorsa settimana. E nell’80% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa. Ci sono le sue impronte sullo zerbino, il segno delle sue labbra sul bicchiere in cucina.

“Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno
Giuro che lo farò
E oltre l’azzurro della tenda nell’azzurro io volerò
Quando la donna cannone
D’oro e d’argento diventerà
Senza passare dalla stazione
L’ultimo treno prenderà”.

Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha preso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni. Si è suicidata, dandosi fuoco. Ma il dolore era una fiamma lenta che aveva cominciato a salire e ad annerirle i vestiti quando era solo un’adolescente. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato il luogo della sua tortura.
Perché mia madre Nadia fu brutalizzata e stuprata due volte: a 13 anni da un uomo e poi da un sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare. Le ferite sanguinano molto di più quando non si è creduti. L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei mentre le fiamme divoravano il suo corpo, aveva le chiavi di casa.

“Sally cammina per la strada senza nemmeno guardare per terra
Sally è una donna che non ha più voglia di fare la guerra
Sally ha già patito troppo
Sally ha già visto che cosa
Ti può crollare addosso
Sally è già stata punita
Per ogni sua distrazione o debolezza
Per ogni candida carezza
Data per non sentire l’amarezza”.

Quante volte noi donne siamo state Sally? Mentre vi parlo c’è una donna che cammina in mezzo alla strada schiacciata dal senso di colpa senza avere nessuna colpa. Voi non avete nessuna colpa! Mentre Franca Rame veniva violentata il 9 marzo del 1973, cercò salvezza nella musica. ‘Devo stare calma. Devo stare calma. Mi attacco ai rumori della città, alle parole delle canzoni, devo stare calma’, recitava nel suo potente monologo ‘Lo stupro’ in cui ripercorreva quel fatto drammatico.

Le canzoni che ho citato stasera sono tutte scritte da uomini, le parole di queste canzoni possono essere messaggi d’amore e di salvezza. Io sono diventata la donna che sono perché lo dovevo a mia madre, lo devo a mia figlia che è seduta in mezzo a voi. Lo dobbiamo a tutte noi, a una madre,a una collega, a una figlia, a una sorella, a una vicina e anche agli uomini perbene, all’idea stessa di civiltà e uguaglianza. All’idea più grande di tutte: quella di libertà.

Adesso parlo agli uomini. Lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere: madri di dieci figli o madri di nessuno, casalinghe o donne in carriera, siate nostri complici, nostri compagni, indignatevi insieme a noi quando qualcuno ci chiede ‘lei cosa ha fatto per meritare quello che le è accaduto?’”.

“C’è un tempo bellissimo, tutto sudato
C’è una stagione ribelle
L’istante in cui scocca l’unica freccia
Che arriva alla volta celeste
E trafigge le stelle
È un giorno che tutta la gente
Si tende la mano
È il medesimo istante per tutti
Che sarà benedetto, io credo, da molto lontano”.

Stasera sono stata scelta per celebrare la musica e per celebrare le donne. Certo, ho messo il vestito migliore e in fondo il senso di tutto ciò è nelle parole giuste, nelle domande giuste. Domani chiedetevi come erano vestite le conduttrici di Sanremo , chiedetevi come era vestita la Jebreal. Ma che non si chieda mai più a una donna che è stata stuprata come era vestita lei quella notte. Che non si chieda mai più. Mia madre Nadia ha avuto paura di quella domanda, mia madre non ce l’ha fatta e come lei tante donne. Noi non vogliamo più avere paura., non vogliamo più essere vittime, orfane, un accessorio, una quota. Io lo devo a mia madre Nadia. Lo dobbiamo alle nostre madri, lo dobbiamo a tutte noi e lo devo anche a me stessa. Lo dobbiamo alle nostre figlie e a quelle bambine qui e là a cui nessuno può togliere il diritto di addormentarsi con una favola. Noi donne vogliamo essere libere, vogliamo essere silenzio, rumore, vogliamo essere proprio questo. Musica”.

“Onorato di averti al mio Festival”, ha commentato Amadeus donandole un mazzo di fiori. Il conduttore si è fatto anche “bacchettare” in diretta per la frase infelice pronunciata in conferenza stampa che gli è valsa l’accusa di sessismo. “Che consiglio mi dai questa sera?”, le ha chiesto. “Stasera facciamo parlare la musica che è una lingua universale che tutti comprendiamo, anche quando non capiamo il significato delle parole – ha dichiarato la Jebreal -Stasera parliamo al cuore degli italiani ma soprattutto tutti noi stasera cerchiamo di fare un passo in avanti. E magari cerchiamo di non fare gaffe”. “Quello non te lo posso promettere ma mi impegnerò”, ha ironizzato Amadeus.

Rula Jebreal devolverà metà del suo compenso a Nadia Murad, l’attivista irachena yazida rapita e stuprata dall’Isis.

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IL MONOLOGO DI RULA JEBREAL (VIDEO)

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