E’ un’intervista a 360 gradi quella che Pippo Baudo ha rilasciato sabato scorso a Pierluigi Diaco a “Io e te […]
E’ un’intervista a 360 gradi quella che Pippo Baudo ha rilasciato sabato scorso a Pierluigi Diaco a “Io e te – Di notte”. L’imperatore della tv ha spaziato dall’infanzia in Sicilia al primo provino, dal modo in cui affronta la terza età al tema della solitudine, dalla tv di oggi a quella di ieri, dal rapporto con la fede all’emozione che ancora oggi prova varcando la soglia di una studio televisivo. Qui di seguito alcuni stralci della chiacchierata tra Diaco e il Pippo nazionale.
LA TV, UN’EMOZIONE SENZA FINE
“Se non mi emozionasse, sarebbe tutto finito. L’emozione si trasmette attraverso la telecamera, la gente la percepisce a casa. Se tu sei troppo disinvolto, se non te ne frega niente, la gente dice: ‘ma perché devo seguire questo Pippo Baudo al quale non gliene frega niente? Io lo seguo se lui mi mostra interesse!’. Quindi io ogni volta che appaio in televisione, guardo la telecamera e quando si accende la lucetta rossa, io provo dei sentimenti”.
LA TERZA ETA’
“Adesso c’è il sentimento della terza-quarta età, è un sentimento bello che devi affrontare con molta sicurezza, con molta tranquillità, senza drammi”.
LA SOLITUDINE
“La solitudine è un momento triste della vita. Se però lo traduci in riflessione, la solitudine diventa un fatto formativo. La solitudine significa tristezza, malinconia, ricordo del passato. Invece, se la solitudine ti serve per pensare che cosa sei, che cosa hai fatto e che cosa ancora puoi fare, allora la solitudine è produttiva”.
LA VERA CULTURA E’ QUELLA NAZIONALPOPOLARE
“Io sono stato accusato da un presidente della Rai di fare del nazionalpopolare. Fu un incidente di percorso che mi costò, poi abbiamo chiarito tutto. Vedi, la cultura non va strombazzata. Tu devi dire le cose più importanti nella maniera più leggera, e quindi pian pianino tu accresci il tuo bagaglio culturale e non te ne accorgi. La vera cultura è quella gramsciana, che è nazionalpopolare, che quindi viene recepita dall’alto e dal basso. Se tu fai questo fai crescere tutto il paese. Cresci tu e il paese!”.
I GIORNALI CARTACEI
“Oggi vado molto al cinema, seguo sia il cinema italiano sia straniero. Devo dire che mi interesso molto. Leggo, ovviamente, tutti i giorni, sono informatissimo… i giornali per me sono un patrimonio del quale non posso fare a meno. Giornali cartacei, mi raccomando! La gioia di sentire l’odore della carta, sfogliare, leggere le notizie. Non puoi al mondo se non sei informato”.
L’ITALIA DELLA SUA INFANZIA
“Era un’Italia semplice, un’Italia paesana, anche se nel paese ci sono tanti sentimenti belli. Avevamo soltanto un cinema, venivano le compagnie di varietà, la compagnia di prosa. E io ho cominciato a odorare il sapore del palcoscenico. Venne una compagnia che rappresentava la vita di Santa Rita da Cascia. Santa Rita da Cascia aveva un figlio. Cercavano un bambino che potesse interpretare il ruolo di Santa Rita e hanno scelto me. Sono salito sul palcoscenico, ho provato una gioia di stare in palcoscenico e di avere un pubblico davanti a me che non me ne sono andato più via e sono ancora qua! Avevo sei anni! Ho una carriera che parte in fasce”.
LE GIORNATE TIPO DELLA SUA INFANZIA IN SICILIA
“Noi si andava sempre nel pomeriggio all’oratorio…vedi come sono bellino vestito da chierichetto! Dunque, si andava all’oratorio, si studiava e si provava teatro, facevamo delle compagnie e poi si recitava. Sono nato, cresciuto, impastato con questa gioia dello spettacolo, della rappresentazione. La vita era una vita semplice perché si andava a passeggiare in paese per le strade, poi si passeggiava in piazza la domenica. La domenica si indossava il vestito della festa. Mi ricordo che mia madre mi aveva regalato un pullover. Io nervosamente lo masticai e lo bucai. Mio padre mi schiaffeggiò in piazza davanti a tutti e fu una bella lezione.
L’APPRODO A ROMA E IL PRIMO PROVINO
“Io ho imparato il rigore da mio padre. Io ho fatto un patto con mio padre e con la mia famiglia. Io volevo fare questo mestiere e lo sapeva. Gli avevo comunicato: ‘papà, una volta laureato tenterò di fare lo spettacolo!’. Papà mi disse: ‘Va bene, tu ti laurei con una buona votazione e poi ti do tre mesi di tempo!’. Infatti mi sono laureato. Qui stiamo vedendo papà e questa bellissima mamma alla quale io assomiglio… Appena mi sono laureato ho preso subito un treno di terza classe. Papà e mamma mi hanno accompagnato alla stazione. Mamma piangeva perché pensava che questa partenza non avrebbe avuto poi ritorno. Papà era un po’ più fiducioso, diceva: ‘ma no, farà un tentativo a Roma, passeranno pochi mesi ma poi torna!’. Sono arrivato qui a Roma, sono stato ospite da mia zia, Giorgina, che abitava a Monte Sacro. Dormivo nella sua stanza. Lei aveva un piccolo difetto: russava in una maniera pazzesca… erano dei tuoni! Poi sono venuto qui a Via Teulada, e mi sono presentato all’ingresso. Io avevo un’illusione… credevo che via Teulada fosse Hollywood! Mi aspettavo grandi luci, una specie di palcoscenico bellissimo, invece, come tu sai, è una specie di carcere! Sono andato lì, sono andato in portineria e ho detto: ‘Senta, io vorrei fare un provino’. Dice: ‘Va bene, la metto in contatto con la signora Manenti’ – sono nomi che non si dimenticano – e mi passò la signora Manenti. ‘Pronto signora Manenti, io sono Pippo Baudo, sono laureato in giurisprudenza, vengo da Catania, vorrei fare un provino’. Dice: ‘senta, i provini ci sono dopodomani. Lei in che cosa lo vuol fare?’. Ed io: ‘in tutto! Presentatore, cantante, pianista, faccio tutto!’. Mi sono presentato, e i miei giudicanti erano niente po’ po’ di meno che: Lino Procacci e Antonello Falqui, il massimo! (…) Poi ho creato il Centro universitario teatrale all’Università, quindi ero anche stipendiato dall’Università. Insomma, cercavo di arrangiarmi in qualche modo. Fino a quando dissi a mio padre: ‘papà, non darmi la paghetta domenicale perché io me la cavavo da solo’. E, infatti, facendo il buffone – come diceva lui e soprattutto mia madre – riuscivo a racimolare quello di cui avevo bisogno per i piccoli divertimenti (…) Al bambino che ero vorrei dire: “Hai fatto bene a insistere. Volevi raggiungere la felicità in un mondo strano, per allora… il mondo dello spettacolo, e non sei stato codardo. Sei stato testardo e ce l’hai fatta, complimenti!”.
LA TV DI OGGI
“Che programma manca alla tv generalista di oggi? Eh… manca tanto, eh! Purtroppo manca tanto. Non vorrei fare il critico in poltrona, però… il servizio pubblico Rai non deve essere una serie di programmi che assomigliano alla televisione commerciale. La televisione commerciale, con tutto il rispetto che ho, è una cosa, la Rai è servizio pubblico, quindi alto, livello alto, alto!
IL RAPPORTO CON LA FEDE
“La fede è una cosa che non bisogna mai dichiarare, bisogna sentirla dentro. La fede significa avere fiducia, avere un rapporto d’amore nei confronti del prossimo, e guardare il domani con grande fiducia, con grande speranza. Ed essere anche religiosi, ma non necessariamente cattolici. La religiosità è qualcosa di spirituale, avere un rapporto con se stesso e con gli altri”.
L’AMICIZIA CON PIPPO CARUSO
“Ci siamo conosciuti a scuola, facevamo insieme il ginnasio, una parte del liceo poi lui è partito, ha fatto l’orchestrale, poi direttore d’orchestra. Poi, guarda Pierluigi, i casi della vita. Io sono a New York, e improvvisamente a New York vedo una persona, dico: ‘Ma tu sei Pippo Caruso, io son Pippo Baudo! Ciao ciao. Ma che fai qua?’. ‘Io ho un’orchestra e animo con la mia orchestra delle crociere dei ricchi americani che vanno ai Caraibi’. Ho detto: ‘E solo questo fai? Allora, vieni con me a Roma e lavoriamo insieme!’. Da allora non ci siamo più lasciati. Io a Pippo Caruso ce l’ho nel cuore”.