Alessandro Borghese torna a denunciare la mancanza di personale nei ristoranti. A distanza di qualche mese dall’ultima volta in cui ne ha parlato pubblicamente, lo chef di “4 Ristoranti” affronta nuovamente l’argomento in un’intervista al “Corriere della Sera”. Borghese fatica a trovare collaboratori e quando li trova può anche succedere che questi gli diano buca all’ultimo minuto. Nessun effetto della pandemia. Il cuoco e personaggio tv è convinto che sia colpa di un cambio generazionale. Nessun giovane è più disposto ad accettare orari estenuanti e stipendi al minimo.
“Lo scorso weekend, a cucinare siamo rimasti io e il mio braccio destro”
“Sa che cosa è successo lo scorso weekend? – racconta – Quattro defezioni tra i ragazzi della brigata, da gestire all’ultimo minuto, e nessuno disposto a sostituire. Così a cucinare siamo rimasti io e il mio braccio destro: 45 anni io, 47 lui. Ma li legge gli annunci? Io ne trovo una quantità ogni giorno: ‘Cerchiamo professionisti del territorio — chef e sous chef, personale di sala, sommelier, ma c’è bisogno pure di baristi, pizzaioli, pasticcieri — da assumere con regolare contratto’. Sono alla perenne ricerca di collaboratori, ma fatico a trovare nuovi profili, sia per la cucina che per la sala: non posso non pormi delle domande”.
“A me nessuno ha mai regalato nulla, mi sono spaccato la schiena”
Borghese parla di situazione “insostenibile”: “Stiamo andando alla deriva. La pandemia ci ha messo del suo, vero. Con le chiusure reiterate tante persone hanno avuto la possibilità di rivalutare lo spazio in famiglia. E scelto di cambiare mestiere per disporre di più tempo che, oggi, è la prima moneta. Il principale problema, però, sta nel cambio generazionale. I ragazzi, oggi, hanno capito che stare in cucina o in sala non è vivere dentro a un set. Vuoi diventare Alessandro Borghese? Devi lavorare sodo. A me nessuno ha mai regalato nulla. Mi sono spaccato la schiena, io, per questo lavoro che è fatto di sacrifici e abnegazione. Ho saltato le feste di compleanno delle mie figlie, gli anniversari con mia moglie. Ho nuotato con una bracciata sempre avanti agli altri perché amo il mio mestiere. La pandemia ha lasciato il segno, vero, ma ora abbiamo svoltato: i ristoranti sono tornati a lavorare, la gente c’è”.
“Lavorare per imparare non significa essere per forza pagati”
“I ragazzi – aggiunge – preferiscono tenersi stretto il fine settimana per divertirsi con gli amici. E quando decidono di provarci, lo fanno con l’arroganza di chi si sente arrivato. E la pretesa di ricevere compensi importanti. Da subito. Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con ‘soli’ vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendio. Oggi ci sono ragazzetti senza arte ne parte che di investire su se stessi non hanno la benché minima intenzione. Manca la devozione al lavoro, manca l’attaccamento alla maglia. Alle volte ho come l’impressione che le nuove generazioni cerchino un impiego sperando di non trovarlo perché, quando poi li chiami per dare loro una possibilità, non si fanno trovare. Mi danno, è frustrante”.