Il mese scorso, Alessandro Borghese aveva annunciato sui social di avere contratto il Covid-19. “Niente febbre per il momento, ma sono tutto acciaccato, ho ossa rotte e la testa che mi gira. Spero di levarmelo immediatamente di mezzo perché non so più come distendermi sul letto…per i reni…mi giro e mi rigiro”, aveva scritto da quello che aveva ribattezzato ironicamente il suo bunker (LEGGI QUI).
In realtà, il coronavirus non è stato affatto una passeggiata per lo chef di “4 Ristoranti” che ha voluto ripercorrere il suo “viaggio all’Inferno” in un podcast dal titolo “C come contrappasso” pubblicato in anteprima dal “Corriere della Sera”.
“La solitudine è il male”
“Ho sete. Voglio quella bottiglia d’acqua, ma non riesco ad aprirla: mi fa male la schiena, il braccio, la mano, le dita, la lingua. Non ci riesco – dice nel racconto audio – Sono sempre solo. Chiuso su questo piano, l’ultimo di casa, quello dedicato proprio alle mie bimbe… quanto mi mancano. Sto male. Piango in silenzio, questa solitudine è il male. Voglio mia moglie. Voglio abbracciare le mie bambine, respirarle. Che giorno è? Decimo, mi conferma il dottore, che quotidianamente mi visita, e la febbre è andata via”.
Il colmo per uno chef? Perdere gusto e olfatto
“Il gusto deve essere allenato ed educato per dire di conoscerlo appieno e poterci fare affidamento – prosegue – Il Covid-19 me l’ha tolto di colpo… Pam, così! Anni di viaggi, di erbe spontanee, di frutta, di verdura, di pesce, di carne, in giro per il mondo, nelle vigne ad assaggiare il vino… Dov’è finito l’olfatto?”. Un vero e proprio paradosso per uno che nella vita fa lo chef.
In quell’esatto istante, Borghese capisce di essere vittima di una sorta di contrappasso. “Ho capito sono all’Inferno — confessa — e questa è la mia pena del contrappasso. Ora devo solo scoprire in che girone sono finito e come uscirne”.